Alle prime luci del 7 febbraio 2020 Patrick Zaki con l’intento di tornare a fare visita ai suoi parenti, viene trattenuto e portato via dalle forze dell’ordine egiziane.

Su Patrick pendeva un mandato di arresto con l’accusa di aver tentato di rovesciare il regime e per la tesi di master sull’omosessualità. Viene bendato e chiuso in una stanza. Subito dopo viene trasferito presso i servizi segreti egiziani dove ad aspettarlo ci sono due agenti che lo picchiano e torturano con le scosse elettriche tanto da far affermare ad uno dei suoi avvocati che quell’atteggiamento fu “professionale”.

Così inizia – esattamente un anno fa – l’incubo di Patrick. Durante questi 12 mesi ci sono stati continui trasferimenti, l’ultimo nel carcere di Tora, riservato a terroristi e prigionieri politici.

I continui rinvii delle udienze e i continui prolungamenti di periodi di detenzione ogni volta aggiornati per altri 45 giorni. Molte università e città italiane si sono mobilitate in questi giorni per tenere vivo il ricordo di un ragazzo accolto dall’Università di Bologna con la speranza che possa tornare al più presto .

A quanto pare la politica sulla situazione Zaki è sembrata quasi non interessarsene e proprio per questo bisogna tenere vivo il ricordo ogni giorno.

Per non piangere come successo con Giulio Regeni.

Per non occultare ancora una volta verità e giustizia.

(crediti immagine in copertina: Massimo Dezzani x Amnesty International)

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *