In Tunisia si è aperta la più grave crisi politica e istituzionale dalla primavera araba del 2011, l’ondata di rivoluzioni e proteste nel mondo arabo che ha portato il paese nordafricano a diventare una democrazia.
Domenica il presidente della repubblica Kais Saied ha destituito il primo ministro Mechichi, mettendo quindi fine al suo governo, e sospeso sia lavori del parlamento monocamerale tunisino per almeno 30 giorni che l’immunità parlamentare. Il presidente dell’assemblea, Ghannouchi, ha definito il gesto un colpo di stato e ha invitato i tunisini a scendere in piazza per fermarlo. Ghannouchi è anche leader di Ennahda, partito islamista moderato che guida il governo e da un decennio è il più influente del paese.

Mezzi militari e giuridici
Saied ha addirittura messo in campo l’esercito per circondare il parlamento e il palazzo governativo e contestualmente i suoi sostenitori sono subito scesi in piazza per festeggiare, a sottolineare il malcontento verso l’operato dell’esecutivo di Mechichi, già manifestato nella giornata di domenica tramite delle proteste antigovernative nelle principali città.
Il presidente sostiene che la sua azione rispetta la costituzione, che gli permette di attribuirsi dei poteri di emergenza, mentre per la maggior parte dei partiti la sua mossa è incostituzionale. La risoluzione della disputa spetterebbe alla corte costituzionale, che però non è mai entrata in funzione nonostante la costituzione attuale risalga al 2014.

Cause preesistenti
La crisi non deriva dal nulla. Lo scontro politico tra Saied e l’ormai ex premier andava avanti da mesi, con il primo che si rifiutava di approvare alcuni ministri, e il parlamento è molto frammentato (nessun partito controlla più del 25% dei seggi). Questo stallo istituzionale impedisce di implementare le riforme necessarie ad invertire la stagnazione economica e a risolvere la crisi fiscale e a ciò si aggiunge la pessima gestione della pandemia e della campagna vaccinale da parte di Mechichi. Non è ancora chiaro se la mossa di Saied sia volta a rovesciare la già fragile democrazia tunisina, come sostenuto dai suoi oppositori, o a riscriverne le regole per una nuova ripartenza.