In Asia Centrale, circondato da Russia (a nord), Cina (est), India (sud) e Iran (est) si estende il territorio degli stan: Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Pakistan e Afghanistan.
I primi cinque condividono un passato sotto l’Unione Sovietica, motivo per cui l’influenza russa in queste aree è particolarmente rilevante anche dopo il 1991.
Nonostante la comune storia recente, il rapporto tra questi Stati non si può certamente definire idilliaco.

Tagikistan – Kirghizistan: il fronte più caldo
Sin dalla dissoluzione dell’URSS le tensioni maggiori si sono registrate lungo il confine tra Tagikistan e Kirghizistan.
Un confine lungo poco meno di 1000 km (di cui solo la metà ufficializzati) tracciato in epoca sovietica in maniera parziale e approssimativa, senza prendere in considerazione la disposizione dei gruppi etnici sul territorio.
Il principale teatro degli scontri è la Valle di Fergana, territorio parzialmente rivendicato anche dall’Uzbekistan, che tuttavia negli anni ha sempre privilegiato il confronto diplomatico a quello armato.
Il confronto armato ha invece visto protagonisti a più riprese Tagikistan e Kirghizistan.

Fino a poco più di un anno fa, per sedare gli scontri era sufficiente l’intervento della guardia di frontiera; le cose sono però cambiate nella primavera del 2021, quando ad affiancare gli abitanti delle aree di confine sono intervenuti gli eserciti dei due paesi.
Alle radici di quest’ondata di violenze vi sarebbe una disputa sulla distribuzione delle risorse idriche e, in particolare, sulla sovranità dell’area in cui è situato l’impianto di Golovnoy (formalmente in territorio kirghizo).
In appena tre giorni di scontri, dal 28 aprile al 1° maggio, si sono registrate oltre 50 vittime, 270 feriti, quasi 60 mila persone sfollate o evacuate e la distruzione di scuole, abitazioni e attività commerciali.
Il 1° maggio è risultato decisivo l’intervento di Aimumin Yatimov, capo del Comitato di Stato del Tagikistan per la sicurezza nazionale, e il suo omologo kirghiso Kamchybek Tashiev, che hanno formalizzato il cessate il fuoco, sostenendo che “la tragedia avvenuta nelle regioni di confine del Kirghizistan e del Tagikistan non dovrebbe mai ripetersi“.

Una tregua instabile
Queste sono state dichiarazioni al vento dal momento che nelle ultime settimane le ostilità al confine sono riprese con ancora maggiore intensità. Il 14 settembre le guardie di frontiera dei due paesi hanno aperto il fuoco, accusandosi reciprocamente di aver dato il via agli scontro.
Le ostilità si sono inasprite due giorni più tardi, proprio mentre a Samarcanda, in Uzbekistan, era in corso il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, con la presenza del presidente kirghiso Sadyr Japarov e il suo omologo tagiko, Emomali Rakhmon, del capo di Stato cinese Xi Jinping, del russo Vladimir Putin e di altri leader asiatici.
Secondo le autorità kirghize il bilancio dei combattimenti è di almeno 24 morti e oltre 130mila sfollati, cifre però destinate ad aumentare dal momento che, nonostante Japarov e Rakhmon avessero raggiunto una tregua, l’esercito tagiko ha sparato colpi di mortaio contro alcuni villaggi del confine.
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Una possibile mediazione russa?
Al momento l’unico paese in grado di porre fine agli scontri sembra essere la Russia; all’apparenza un controsenso vista la scarsa propensione al dialogo e a un confronto diplomatico dimostrata da Mosca negli ultimi mesi.
Tuttavia gli interessi del Cremlino in entrambi i Paesi sono considerevoli e il leader russo Vladimir Putin vuole evitare un ulteriore intensificarsi degli scontri, motivo per cui ha esortato Japarov e Rakhmon a trovare una soluzione pacifica, offrendo la disponibilità della Federazione russa a mediare tra le parti.
Mosca infatti ha legami stretti sia con il Kirghizistan che con il Tagikistan dal momento che entrambi gli Stati ospitano basi militari russe nel proprio territorio e le loro economie dipendono profondamente da Mosca.
Un altro motivo dell’attenzione della Russia verso l’evolversi degli scontri è determinato dal fatto che sia il Tagikistan che il Kirghizistan sono membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), l’alleanza militare a guida moscovita il cui obiettivo è quello di di creare le condizioni per “lo sviluppo globale e garantire la sicurezza regionale, rafforzando l’integrità territoriale e la sovranità di ciascun Stato membro”.