Sono frequenti i riferimenti in questi anni a quella che fu la Prima Repubblica. Spesso guardiamo indietro con nostalgia ad un periodo fatto di attivismo, dibattiti condotti con rispetto per l’avversario politico, in opposizione alla desolazione che oggi impera.

Ma come avvenne questa separazione? Cosa significò Tangentopoli per la Prima e per la Seconda Repubblica? Fu veramente un’opera pianificata di smantellamento di un ordine politico per gambizzare la sovranità italiana, come alcuni opinionisti da salotto e alcuni degli stessi politici vittime delle indagini vorrebbero farci credere? O si trattò piuttosto dell’inevitabile conseguenza di un processo di disfacimento di un modo di fare politica attivamente, “tra la gente”, a favore di un modello che sarebbe poi stato incarnato dal berlusconismo?

Cosa fu la Prima Repubblica

Per Prima Repubblica si intende il periodo che va dalla nascita della Repubblica italiana, quindi in seguito al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, fino allo scoppio del caso di Tangentopoli, il quale segna la fine del sistema elettorale proporzionale e l’inizio di un modo di far politica completamente diverso.

Il mezzo secolo che caratterizzò la Prima Repubblica aveva una caratteristica fondamentale: le ideologie erano il motore dell’azione politica dei partiti. Ognuno degli schieramenti faceva riferimento ad un preciso pensiero, e attorno a queste posizioni ruotavano i dibattiti.

Tuttavia, molti furono i lati negativi di quest’epoca. Innanzitutto, l’esclusione a priori del PCI – il più grande partito comunista d’occidente – da qualsiasi maggioranza nonostante l’enorme peso in termini parlamentari, questo per preservare la “reputazione internazionale” – quindi i rapporti con gli USA – e di fatto andando contro la volontà popolare.

In seconda battuta, sono anni caratterizzati da enormi scontri tra estremisti, una profonda divisione della società che portò ad un ventennio di attentati e paura: gli anni di piombo.

Inoltre, la corruzione dei politici era un fenomeno diffusissimo, e ciò portò all’emersione dello scandalo di Tangentopoli collegato al finanziamento illecito dei partiti. 

L’evoluzione del finanziamento ai partiti e la svolta dopo Mani Pulite

Durante i primi anni della neonata Repubblica, i partiti potevano contare su una grandissima base di iscritti; come accennato, all’inizio la politica si faceva “tra la gente” e questo portava ad un inevitabile coinvolgimento dei cittadini nella vita politica. I circoli dei partiti promuovevano dibattiti, e a volte si occupavano anche di fornire servizi essenziali alle classi meno agiate, come nel caso del PCI nelle zone di periferia.

Era naturale devolvere parte del proprio stipendio a favore del partito di appartenenza, appartenenza cementata dal ruolo delle ideologie. Con il passare del tempo, e l’istituzionalizzazione dei partiti, ci fu una progressiva crescita della corruzione e dell’utilizzo di tangenti. Così, nel ‘74 per definire con forza l’indipendenza della politica da poteri economici ad essa estranei venne varata la Legge Piccoli, che istituiva il finanziamento pubblico ai partiti.

Fu inutile. Pochi anni dopo gli scandali Sindona e Lockheed resero palese la continua dipendenza dei partiti da “aiutini” esterni. Due referendum, prima uno del Partito Liberale Italiano e poi uno dei Radicali nel ‘78 provarono ad abrogare la legge, fallendo entrambi. Anzi, nel 1981 una legge vede raddoppiati i finanziamenti ai partiti, sebbene vengano vietati i finanziamenti da parte della Pubblica Amministrazione e da enti pubblici.

Nel 1992 si aprì il vaso di pandora. Grazie alle indagini del pool di Mani Pulite, guidato da Di Pietro con Colombo e Davigo, si scoprì una vastissima rete di tangenti che garantiva un costante flusso di denaro ai principali partiti in cambio di appalti. Con le prime condanne, la politica si difese dicendo che si trattava di casi isolati, ma dopo le elezioni i magistrati sciolsero ogni riserva e fioccarono gli avvisi di garanzia, e con essi arresti e talvolta suicidi.

(Foto da: Trentaminuti)

Si tentò di distruggere la figura di Di Pietro in ogni modo, ma il consenso verso le azioni del magistrato era alle stelle. Importantissime figure dell’imprenditoria e della politica (non ultima Craxi) confessarono il loro coinvolgimento. Nel ‘93 un ulteriore referendum promosso dai Radicali abrogò il finanziamento pubblico ai partiti con un consenso oltre il 90%. Non sarebbe passato molto prima che venissero reintrodotti sotto il nome di “rimborsi elettorali”.

Le cause del finanziamento illecito

Bettino Craxi fu forse il volto di Tangentopoli e del lento degrado della politica. Segretario del Partito socialista italiano dal 1976 fino allo scioglimento del partito nel 1993, fu accusato dalla sua base elettorale di promuovere idee liberali – quindi nettamente in contrasto con la linea di pensiero del partito – e ciò portò ad un allontanamento di molti iscritti.

Meno tessere voleva dire meno entrate alle casse della sede in Via del Corso a Roma, fenomeno che incentivò le pratiche di corruzione. Fu un ciclo vizioso che colpì molti partiti e di cui ancora oggi notiamo il trend decrescente della partecipazione politica, figlia della disillusione che Tangentopoli ha creato.

Il crollo delle ideologie

Con lo scoppio del caso giudiziario in seguito all’arresto di Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, la fiducia nella classe politica crollò drasticamente, e la fede nelle ideologie pure. Fu un duro colpo in particolare per i partiti di sinistra, già in una fase critica a causa dello scioglimento dell’Unione Sovietica e dell’emersione dei fatti di Piazza Tienanmen in Cina.

In quanto detentori della maggior parte dei consensi, furono loro quelli maggiormente attaccati: eclatante fu l’episodio dell’Hotel Raphael di Roma, dove all’uscita Craxi fu “accolto” da un lancio di monetine da parte di una folla imbestialita.

Ed è sotto quel tintinnio di monete che ancora oggi rimbomba dove giacciono i resti della politica ideologica, che tanto ha fatto sognare e lottare generazioni di persone.

L’inizio del berlusconismo e la politica chic

In questo clima di totale sfiducia nei partiti tradizionali e nelle ideologie, con la caduta dell’Unione Sovietica e la vittoria dell’ordine liberale di ispirazione USA, senza più una bussola per contenuti politici, l’elettorato si rivolse ad una figura salvifica: quella di Berlusconi.

Il self-made-man proveniente dall’imprenditoria che nulla aveva a che fare con il corrotto establishment che prometteva di avere tanto successo in politica quanto ne aveva avuto con le sue imprese (ricorda qualcuno?). Poco si sapeva allora che il self-made-man non era poi così “self-made” e che aveva sfruttato non poco l’aiuto della mafia siciliana che, non potendosi più fidare della vecchia classe dirigente, cercava un volto fresco e affidabile che potesse rappresentare il futuro della politica e che vide nel sorridente viso dell’imprenditore.

(Foto da: SlyTg24)

Quella del berlusconismo non sarebbe stata una politica di idee e contenuti, ma quella delle leggi ad personam e del pilota automatico su politiche economiche e sociali, pilota automatico che seguiva le ricette del nuovo ordine mondiale (astenersi complottisti) che vedeva nella libertà dell’individuo nel mercato una sorta di panacea. La politica e lo statismo non erano più fini arti che nobilitavano tanto il politico quanto il cittadino, ma vetusti concetti non più adatti al dinamismo incalzante.

Tanto più la fiducia nei mercati cresceva quanto meno la politica necessitava rispetto, e in questo clima gli elettori non avrebbero posto certo standard troppo elevati a chi li dirigeva. La classe politica stagnò e la narrativa dello stato come pesante macchina burocratica utile solo a intralciare la nobile (quella sì) iniziativa privata si solidificò ulteriormente (e spesso non senza valide ragioni). Era la fine delle ideologie, oggi additate come nemiche della razionalità, e l’inizio delle barbarie.

(Foto di copertina da: tg24.sky.it)

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