
Ultimamente si fa un gran parlare di Giorgia Soleri, spesso citata da siti e giornali come “la ragazza di Damiano dei Maneskin”, il che ha fatto discutere perché fortunatamente comincia a suonare strano definire una donna in funzione della sua relazione con un uomo. Giorgia Soleri è un’attivista e scrittrice, recentemente ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “La signorina Nessuno”, che pare essere un incrocio tra le frasi dei Baci Perugina, i migliori post-it di Francesco Sole e il blog di una Tumblr girl del 2013, ma non siamo qui a parlare della decadenza del mercato editoriale quindi possiamo passare oltre.
Giorgia Soleri parla, attraverso i social, anche di femminismo, molto notevole è stata la sua campagna sulla sensibilizzazione in merito alla vulvodinia, malattia cronica di cui soffrono milioni di donne che però viene diagnosticata in pochissimi casi e sempre dopo trafile lunghe e dispendiose di visite e consulti. Recentemente ha pubblicato su Instagram, e non credo fosse la prima volta, delle foto in cui si mostrava con le ascelle non depilate. Dopo le reazioni e i commenti scatenati da queste immagini, l’influencer ha pubblicato dei video in cui parlava dei commenti degli uomini sul corpo delle donne e del fatto di non adeguarsi agli standard; c’è chi l’ha elogiata come paladina del femminismo, il che effettivamente è parso un po’ esagerato anche a me. Poi ho aperto Twitter, il lato oscuro dei social, il posto dove puoi trovare tutto e il contrario di tutto e ho letto un tweet di una ragazza che seguo da tempo con piacere, che non lavora con i social ma che ha un discreto seguito su Twitter: il tweet in questione diceva più o meno che lei è cresciuta con una madre single che ha fatto di tutto pur di lavorare e che quindi su di lei il discorso dei peli sotto le ascelle per andare contro il patriarcato non ha alcun appeal. Aggiungendo in un commento che ha bene in mente che cosa sia l’emancipazione femminile e che non ha niente a che fare con i peli.
Questo tweet mi ha fatto molto pensare: allora è vero che una donna è emancipata perché è economicamente e magari anche affettivamente indipendente? Perché può vivere senza l’aiuto di un uomo? Io purtroppo credo di no. Una donna può anche non dipendere da nessun uomo nella contingenza, ma quella stessa donna però vive e vivrà sempre, purtroppo credo, in una società patriarcale, dove il corpo delle donne non appartiene veramente alle donne, dove il male gaze esiste e tutte le donne ne sono influenzate, noi siamo create dagli uomini da sempre, secondo la loro volontà e i loro desideri e non basta certo essere economicamente indipendenti per sovvertire secoli di sottomissione.
Benaltrismo?

Non volendo affibbiare all’autrice del suddetto tweet l’etichetta del benaltrismo, che trovo problematica e non così facilmente attribuibile, mi sono voluta chiedere perché si tende così tanto a demonizzare questo tipo di atteggiamenti, giudicandoli superficiali e inutili, per lo più pose e mode senza senso per il gusto di definirsi hipster, d’accordo con il signor Guglielmo Bruno in arte Willie Peyote che sostiene che “vestirsi male e avere un pessimo rapporto con il cazzo non c’entra niente col femminismo”; non credo sia benaltrismo, ma credo piuttosto che si tratti del modo in cui il femminismo viene divulgato attraverso i social, che è spesso superficiale e banale. Escludendo Freeda, la pagina pseudo femminista più peracottara dei social, di cui mi rifiuto categoricamente di parlare, ci sono molte donne che parlano di femminismo sui social e la maggior parte di loro lo fa in modi superficiali.
Se escludiamo il discorso sulla violenza di genere, che se volessimo fare una gerarchia sarebbe sicuramente al primo posto per importanza, di cui si parla abbastanza diffusamente e ponendo gli accenti sulle cause e sulla radice patriarcale del fenomeno, trovo che tutto il resto degli argomenti concernenti il femminismo siano trattati superficialmente e spesso ahimè utilizzati come pretesto per fare marchette a destra e a manca, un po’ come i loghi arcobaleno nel mese del pride.
La storia e la complessità del femminismo

Il punto è che il femminismo è un argomento complesso e sfaccettato, e va benissimo utilizzare i canali di oggi per diffondere certi messaggi, nessuno pretende i volantini ciclostilati delle femministe degli anni Settanta ma va fatto in un certo modo. Il femminismo è un movimento che ha una storia lunga più di duecento anni, e bisogna partire da lì se vogliamo capire la nostra condizione, non possiamo decontestualizzare e proporre un modello di donna empowered senza sapere che questo modello di donna “con le palle”, espressione che per altro parla da sé, è nato perché in molti hanno pensato che una donna per avere i diritti che le spettavano dovesse mettersi al pari dell’uomo, sottintendendo in questo modo che l’uomo fosse superiore e non solo, che fosse lo standard.
Da quando Mary Wollstonecraft si è “inventata” il femminismo sono passati più di due secoli, donne di ogni condizione e Paese si sono battute per i diritti e hanno scritto e teorizzato la sottomissione della donna nel sistema patriarcale nei modi più di disparati, a partire dalla prima ondata nelle sue due anime: il femminismo liberale, il primo e più limitato e la corrente socialista, che considerava come fondamentale nella questione femminile anche la componente di classe ma che aveva comunque le sue lacune, e poi Virginia Woolf, e Simone de Beauvoir, che partendo dalla prospettiva esistenzialista secondo cui ogni essere umano è condannato ad essere libero, sostiene che non ci sia nessun destino biologico o psichico che definisce il ruolo della donna nella società e che donne non si nasce ma si diventa. Poi c’è stata la rivoluzione sessuale e il nuovo femminismo e parallelamente la visione profondamente critica riguardo alla libertà sessuale del femminismo radicale americano, per poi passare alle femministe francesi, fino al femminismo intersenzionale e al transfemminismo del giorno d’oggi. È una storia lunga, con infinite lotte e teorizzazioni, e almeno in parte va conosciuta se si vuole seriamente parlare di femminismo, altrimenti è come parlare di attualità senza conoscere minimamente la storia, si perde il senso di continuità e non si capiscono le radici dei problemi.
Contro la superficialità

Appiattire il femminismo su slogan banali e frasi fatte significa non capirlo, proporre semplicemente di non depilarsi perché “il corpo è mio e decido io” non è sbagliato, ma sarebbe anche il caso di spiegare da dove e perché nasce il tabù dei peli; battersi contro lo slut-shaming perché “dire puttana vuol dire biasimare i comportamenti sessuali di una donna” è giusto, ma spieghiamolo perché dalla notte dei tempi il sesso è lo strumento principale del patriarcato per assoggettare le donne. Gridiamo sì allo scandalo perché nel 2022 una donna non è libera di abortire e spesso rischia la vita, però diciamolo che non è solo colpa dei retaggi cattolici (anche se poi la Chiesa è un’istituzione profondamente patriarcale), c’entra anche il fatto che una donna non è ancora padrona assoluta del suo corpo e che il ruolo di donna come macchina procreatrice e nel contempo soggetto passivo non è ancora superato.
Occorre un po’ di serietà nel trattare certi temi, serietà che è il contrario della superficialità con cui si parla di femminismo sui social, sia che ci si riferisca alle pagine/influencer più infime che usano qualche frasetta-slogan per vendere il prodotto del momento, sia che si parli delle varie attiviste e scrittrici che hanno sicuramente fini più nobili ma che spesso non riescono a parlare in modo compiuto dell’argomento. Il femminismo è una cosa seria e lo è anche ogni aspetto che lo riguarda, che si tratti di temi più importanti come il femminicidio e la violenza di genere, sia che si tratti di questioni apparentemente più “banali” come la depilazione (che poi tanto banale non è se pensiamo che è legata strettamente ai canoni estetici e al male gaze), la libertà sessuale o il linguaggio inclusivo: certo non cambia il mondo una targhetta sulla porta di un ufficio con su scritto “assessora” invece che “assessore” ma chiediamoci perché la parola “assessora” non è mai esistita e riflettiamoci, forse capiremmo perché la questione è più seria di quanto possa pensare. In conclusione: se il femminismo è una cosa seria allora va trattata come tale, e credo che questo sia anche l’unico modo di far capire alle persone scettiche che tutto concorre alla lotta contro il patriarcato, anche i peli e le desinenze femminili.