Ricordate la prossemica della manina? Quel braccio che si allunga ad accarezzare la spalla di Salvini, da molti ritenuto uno dei momenti più alti dell’esperienza politica contiana? Negli avvicendamenti politici di questa legislatura, molti si aspettavano questo – o almeno qualcosa di simile – dalla resa dei conti di mercoledì 20 in senato: una carezza beffarda e un po’ di livore malcelato dal paternalismo delle vittime.
Tuttavia, se era questo che ci si aspettava da Draghi, molti saranno rimasti delusi dal rigore programmatico del discorso, dall’assenza di circonvoluzioni retoriche, ma soprattutto dalla mancata risoluzione di quello scontro mortale con Giuseppe Conte – accreditato come l’unico artefice di questa crisi di governo.

La sostanza delle conclusioni di Draghi è stata, al contrario, molto asciutta. Nulla di personale insomma, solo che così, proprio non si poteva andare avanti; perché ogni singola questione negli ultimi mesi è stata terreno di contese, posizionamenti elettorali o riscoperte battaglie identitarie sui temi più disparati e – in sostanza – ridicoli. Dagli effetti – pessimi – del Bonus 110%, alla riforma degli appalti e delle concessioni, fino alla concorrenza e alle licenze: ogni questione sul tavolo del governo è stata fonte di attriti e strizzate d’occhio alla categoria coinvolta. Un perfetto esempio di corporativismo che il premier – abituato ad altri ordini di rilevanza – non ha più potuto avallare e che, alla fine, lo ha costretto a richiamare i partiti alle proprie responsabilità.
L’esito della giornata di mercoledì è ormai noto e maledettamente esemplificativo della distanza incolmabile tra il pragmatismo di Draghi e l’universale chiave politica, con la quale i partiti insistono a forzare la realtà, incuranti della contingenza economica e internazionale. Una giornata nella quale i leader politici si sono confusi con le tappezzerie di Palazzo Madama – in un gioco di mimetismo – lasciando spazio, durante il dibattito parlamentare, alle posizioni più oltranziste dell’opposizione interna alla maggioranza.
Intanto il 25 di settembre si vota.