Fai ordine a casa del nonno, prendi una foto in bianco e nero sgualcita ai lati, con il retro giallognolo su cui campeggi una scritta a mano, sinuosa ma storta. Indica sicuramente un’annata lontana almeno 50 anni. Allora puoi commuoverti; è una foto stupenda. Piena di emozioni, gli abiti dei tuoi familiari sono fuori moda ma pieni di fascino, le acconciature buffe. Stanno tutti raggruppati di fronte ad un’auto, una moto, un cancello di cortile. Dietro una villetta, una stalla, un appartamento appena intonacato (come lo sai? Non ci sono i colori). Probabilmente per il giorno della foto si sono tutti messi d’accordo; questa la vogliamo ricordare, commuoverà noi ed i nipoti.

Il terreno verso cui vi sto conducendo però, non è il cortile sul retro, ma la critica. Quella che abbiamo sotto i nostri occhi è una galleria di status symbol. La maggior parte degli oggetti nella maggior parte delle case non vi abitano perché sono i più adatti, i più di qualità, i più convenienti, i più esteticamente appaganti, ma entrano nelle nostre stanze scelti da persone che non conosciamo, lontane anni luce dalle nostre famiglie, ma non dalle nostre abitudini. Il marketing pubblicitario come lo intendiamo adesso, nell’era in cui ci sono carriere universitarie intere preposte alla vendita di un determinato prodotto (spesso effimero, spendibile addirittura solo sul web), è una pratica esplicitamente invasiva. Siamo quindi a conoscenza del suo potere subdolo, anche se non abbiamo il più delle volte gli strumenti per depotenziarlo. Capiamo dove sta andando a parare, ma non riusciamo a fare a meno di seguire la vocina.

Vance Packard ci ha avvertito nel 1957.
Insegnante dell’Università di New York, scrive un saggio in cui denuncia i pericoli della pubblicità, legata a filo doppio con la psicanalisi ed in grado di modificare i nostri comportamenti. Gli credono, in parte. Poi se lo dimenticano, o lo utilizzano addirittura per affinare le strategie che deplorava. Una rilettura odierna ci conferma, senza farci pensare al complotto, la sua veridicità. Inutile pensare ad un mondo fatto di piani per costringerci all’omologazione, ad un Grande Fratello anacronistico tanto facile da citare quanto complicato da lasciare al suo posto, si tratta semplicemente di calcolo economico, razionale. Nessuno vuole il male della massaia quando le propone 4 flaconi di detersivo con involucro diverso ma stessa sostanza. Qualcuno ha però compreso i suoi bisogni più intimi, il modo in cui vuole sia definita la sua identità. Dico massaia perché l’autore dice massaia e lo fa negli anni Cinquanta con un’attenzione particolare alla ridefinizione dei ruoli di genere ed ai suoi risvolti. Con un linguaggio chiaro e forse poco politicamente corretto ci dona una lezione preziosa sul suo tempo, ma soprattutto sul nostro. Packard individua i bisogni segreti e ci mette in guardia da chi li usa a suo favore, sia al supermercato che in politica. Si parla anche di politica, delle presidenziali del 1952.

La copertina dell’edizione odierna de I persuasori occulti di Vance Packard.
La prima edizione italiana è stata pubblicata nel 1958 dalla Einaudi.
Foto da einaudi.it.

Sta a noi lettori del 2020 trarre le nostre conseguenze. Abbiamo ignorato Laooconte una volta di più? Quanti saccheggi stiamo subendo scambiandoli per regali? E come vivere in un mondo consumista mantenendo un proprio sguardo critico sulla realtà? La risposta sta sotto la superficie, portata in luce solo da una riflessione in grado di mettere insieme l’enorme contributo dello studioso americano a molti altri, rifuggendo i manuali di autoaiuto e i life coach. Insomma, per essere libero devi essere un po’ polemico e I persuasori occulti è un must have nella libreria di un polemico.

(Foto di copertina da OmgFacts)

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Di Valentina Farinon

22 anni, mi sono laureata in Lettere moderne e ora studio Filologia. Amo il teen drama, Kerouac, Tutti Fenomeni e Vasco Brondi. Provo a fare anche delle cose più serie, talvolta.

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