La vicenda
Lo sport può essere politica, politica non intesa come lotta fra partiti o politici, ma come contrapposizione di interessi, spesso inconciliabili, portati avanti da diversi soggetti, siano essi singoli individui od organizzazioni, interessi che trascendono la mera competizione sportiva e si caricano di priorità economiche e di valori.
Altrettanto spesso, la contrapposizione avviene fra Paesi, fra associazioni e federazioni sportive internazionali, o fra questi due tipi di attori, sfociando quindi anche nella diplomazia governativa. E qui arriviamo al caso di Peng Shuai, la tennista cinese 35enne scomparsa il 2 novembre, di cui probabilmente avrete già sentito parlare.
La sportiva quel giorno aveva accusato di violenza sessuale, tramite il social cinese Weibo, l’ex vice primo ministro Zhang Gaoli per averla costretta ad un rapporto non consensuale; il post è stato rimosso quasi subito e il suo profilo Weibo bloccato, e da quel momento non ci sono più state notizie né apparizioni o dichiarazioni pubbliche di lei, con il governo cinese che contestualmente non ha commentato la vicenda.

L’operato del regime cinese non stupisce, ricordiamoci il caso analogo di Jack Ma, fondatore ed ex presidente della compagnia di e-commerce Alibaba, scomparso dai radar per mesi dopo aver criticato le politiche economiche del governo. La dinamica è la stessa, è difficile che oggigiorno un regime autoritario con la pretesa di diventare la prima potenza mondiale come la Cina faccia uccidere personaggi più o meno famosi che danneggiano l’immagine del Partito Comunista, ma questa sorta di “rieducazione” coatta rende persone sgradite sicuramente innocue in futuro.
Arrampicata sugli specchi
Tornando a Peng Shuai, la tennista è ricomparsa in pubblico venti giorni dopo in occasione della premiazione di un torneo giovanile a Pechino, dando un’impressione di normalità e, soprattutto, è riuscita ad avere una videochiamata con il presidente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) Thomas Bach, nella quale la sportiva ha rassicurato sulle su condizioni di salute e ha chiesto rispetto per la sua privacy.
La questione della privacy risuona comunque come una forzatura che Peng è stata costretta direttamente o indirettamente a riportare, ma tant’è, e purtroppo non sono disponibili registrazioni o trascrizioni della videochiamata, cosa per cui il CIO è stato criticato. Il presidente Bach ha fatto sapere di aver avuto un altro incontro virtuale con la sportiva agli inizi di dicembre e recentemente ha inoltre auspicato di incontrarla alle Olimpiadi invernali in programma a Pechino il prossimo febbraio.

Più della semplice solidarietà
Chi ha preso subito una decisione concreta in risposta alla sparizione di Peng è stata la Women’s Tennis Association (WTA), l’associazione mondiale che riunisce tutte le tenniste professioniste, sostanzialmente l’azienda che organizza i tornei professionistici femminili egli eventi correlati. La WTA, tramite il suo CEO Steve Simon, ha deciso di sospendere i tornei di tennis in programma in Cina e ad Hong Kong nel 2022, il che si tratta di ben 11 eventi femminili, tre dei quali appartenenti alle categorie di tornei più alate.
Una decisione molto forte e di portata storica nel mondo del tennis e che toglie alla WTA moltissimo incassi derivanti dal pubblico (in senso lato) e dagli sponsor; d’altronde il tennis femminile sta investendo molto nel mercato cinese, viste le enormi potenzialità di quest’ultimo. Simon ha giustificato così la scelta del CdA: “Se persone potenti sono in grado di soffocare la voce delle donne e nascondere sotto il tappeto accuse di violenza sessuale, le basi su cui si fonda la WTA, ovvero l’uguaglianza per le donne, ne sarebbero scosse fin dalle fondamenta […] Non vedo come potremmo chiedere alle nostre atlete di competere in Cina se Peng Shuai non è libera di parlare e se è pure stata costretta a contraddire le sue accuse di violenza sessuale”.
L’ITF (International Tennis Federation), che riunisce le federazioni nazionali, è arrivata a prendere la stessa decisione della WTA. Il suo presidente, nonché dirigente CIO, David Haggerty, aveva inizialmente annunciato di non voler cancellare i tornei e gli eventi in Cina il prossimo anno (l’ITS si occupa delle competizioni professionistiche maschili e femminili di categoria inferiore e del circuito junior), giustificandosi così: “Dovete tuttavia ricordarvi che l’ITF è l’organo governativo che gestisce lo sport a livello mondiale, e una delle nostre responsabilità è far sì che il tennis abbia una base forte a livello popolare. Per questo motivo non vogliamo punire un miliardo di persone e continueremo ad organizzare eventi juniores e seniores in Cina”, scelta inizialmente molto criticata perché giudicata troppo morbida. Era chiaro qui l’intento di non perdere un bacino di utenza enorme.
Qualche giorno dopo però l’ITF ha fatto marcia indietro e dunque quaranta tornei sia maschili che femminili programmati in Cina non saranno giocati; per dovere di cronaca, i dubbi sul fatto che questi non si sarebbero comunque potuti tenere erano molti per via della situazione pandemica.
Un colpo al cerchio e uno alla botte
Dei tre organismi citati, la posizione meno intransigente è quella del CIO, che si è attirato non poche critiche. Il presidente Bach pare non voglia sobbarcarsi il carico di una vicenda che è diventata politica e che può portare ad uno scontro con il governo di Pechino. Ricordiamone comunque la gravità, almeno agli occhi di noi occidentali: si tratta di far sparire una persona dalla sua vita pubblica, poco importa quale sia il mezzo utilizzato dal regime cinese.
“L’aspettativa che le Olimpiadi possano cambiare un Paese, le sue leggi, o il suo sistema, è un’esagerazione. I Giochi non possono porre rimedio a questioni che generazioni di politici non hanno risolto” ha detto Bach ad un’agenzia di stampa tedesca. Come già scritto, su di lui pesa il fatto che tra qualche mese nel paese asiatico si terranno le olimpiadi invernali, organizzate proprio dal Comitato olimpico, e che nell’avvenimento sia coinvolto un membro del Partito comunista, unica ed egemone forza politica del paese.
Il presidente CIO ha aggiunto che “Questa faccenda non ha niente a che vedere con le Olimpiadi. Piuttosto riguarda una questione umanitaria e personale che coinvolge un’atleta che ha disputato i Giochi tre volte; il nostro focus e il nostro impegno vanno in questa direzione a prescindere dal resto”, appellandosi quindi alla supposta neutralità politica dell’organizzazione che guida e lasciando alle diplomazie dei singoli stati decidere come rapportarsi alla Cina.

Non è certo la prima volta che le organizzazioni e federazioni internazionali sportive si astengo dall’esprimere chiari giudizi e dal compiere azioni dalle importati ricadute quando le competizioni sono sporcate da violazioni dei diritti umani o da pratiche tutt’altro che democratiche da parte di stati autoritari o semi-autoritari. Ma prima o poi dovrà arrivare il momento in cui in questi casi anche organismi super partes, fondati in Occidente, prenderanno posizione e provvedimenti contro certi governi.
Si chiede maggior decisionismo
Se il CIO ha scelto la strada della “quiet diplomacy”, l’ITF inizialmente ha assunto una posizione giudicata da alcuni non abbastanza dura nei confronti della Cina, nonostante poi la federazioen abbia proceduto come scritto sopra. Le parole del presidente Haggerty: “As the governing body of tennis, we stand in support of all women’s rights […] The allegations need to be looked into, and we will continue to work behind the scenes and directly to bring this to resolution”. C’è chi fa notare come se ne faccia solo una questione di diritti delle donne, invece che contestare in maniera più ampia lo stato dei diritti umani in Cina.
In questo emerge chiaramente il complicato bilanciamento fra interessi commerciali e diplomatici e la spinta etica a non transigere nei confronti di violazioni dei diritti umani.
Situazione che come già detto coinvolge anche al WTA, e che in futuro potrebbe (dovrebbe?) riguardare anche l’ATP (Association of Tennis Professionals), il suo corrispettivo maschile. ATP che per il momento si è limitata ha rilasciare alcuni comunicati del suo presidente Andrea Gaudenzi: “Siamo profondamente preoccupati dall’incertezza che circonda la sicurezza e l’attuale domicilio di Peng Shuai […] Ci uniamo alla WTA nel chiedere una piena, giusta e trasparente indagine nelle accuse di violenza sessuale mosse da Peng Shuai” si legge nel primo, “The situation involving Peng Shuai continues to raise serious concerns within and beyond our sport […] We again urge for a line of open direct communication between the player and the WTA in order to establish a clearer picture of her situation […] We will continue to consult with our members and monitor any developments as this issue evolves” nel secondo.
Se l’associazione maschile dovesse decidere anch’essa di cancellare i tornei previsti in Cina l’anno prossimo, ciò avrebbe un grande e positivo impatto simbolico senza precedenti (almeno nel mondo del tennis) e lancerebbe un segnale molto forte in un periodo storico in cui le istituzioni, qualsiasi esse siano, sono sempre più chiamate a porre rimedio alle situazioni di disparità di genere e di minori diritti per le donne. E inoltre sottolineerebbe un coordinamento non affatto scontato tra i tre organi che dirigono il tennis mondiale.
Ciò che è sicuro è che la rinuncia da parte della WTA, dell’ITF ed eventualmente dell’ATP alle competizioni in terra cinese causerà loro un pesante danno commerciale e finanziario. La Cina può rinunciare al tennis ma non è detto che il tennis possa rinunciare alla Cina.