L’aggressione russa dell’Ucraina sta venendo descritta da tutti i notiziari e da tutti i quotidiani, concentrandosi però principalmente sulle dichiarazioni e sulle decisioni dei più grandi membri della NATO. Siccome alcuni membri sono geograficamente vicini all’area in cui tali avvenimenti stanno avendo luogo, è interessante considerare come loro stanno affrontando questa situazione; ciò potrebbe anche essere utile per capire come l’Alleanza nel suo complesso potrebbe effettivamente muoversi in questa situazione. Li prendiamo in considerazione da Nord a Sud, sulla base di quanto accaduto fino alla mattinata di giovedì 24 febbraio.

Fonte: Statista

Gli Stati baltici (Estonia, Lituania, Lettonia)

Tra gli Stati che temono maggiormente la minaccia militare russa ci sono i tre paesi baltici. Estonia, Lituania e Lettonia sono stati parte dell’URSS, ma sono anche stati tra i primi ad essere divenuti indipendenti; ora temono che, in caso di azioni militari russe in Ucraina, la Russia potrebbe rivolgere le proprie mire verso di loro: temono possa farlo contando sulla Bielorussia. Sebbene continuino a considerare la via diplomatica come la soluzione migliore, vogliono essere pronti qualora si realizzasse lo scenario più temuto; inoltre, sono fortemente convinti che da parte occidentale debbano venire imposte pesanti sanzioni alla Russia in risposta alla violazione della sovranità ucraina.

L’Estonia ritiene che la minaccia russa nei confronti dell’Ucraina sia un tentativo di dividere l’Occidente; la prima ministra Kallas ritiene però che finora la NATO sia riuscita a rispondere in modo unitario, tenendo in considerazione i punti di vista di tutti gli Stati membri. Ritiene che la Russia avrebbe un’arma in meno se la Germania rinunciasse al gasdotto Nord Stream 2. Vista la vicinanza geografica con la Russia e i precedenti storici, da parte estone c’è la disponibilità – e anzi è una cosa che è stata richiesta – a ospitare ulteriori soldati degli alleati occidentali, come dichiarato anche dal presidente della repubblica Karis.

Pure la prima ministra lituana Šimonytė ha ribadito come il gasdotto Nord Stream 2 possa diventare un rischio geopolitico. Oltre a ciò, ha descritto la situazione causata da Putin come “il 1938 della nostra generazione”, paragonandola alla situazione di incertezza e di indecisione che ha preceduto lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. La Lituania è uno Stato che in anni recenti non ha avuto paura di ribadire con fermezza la sua posizione in difesa dei valori democratici, tanto da arrivare a sfidare la Cina sulla questione taiwanese.

Anche in Lettonia si teme l’escalation militare, tanto che il presidente della repubblica Levits descrive le azioni di Putin come “un tentativo di ricostruire l’impero sovietico”. Negli scorsi mesi sono arrivati in Lettonia centinaia di migranti mediorientali provenienti dalla Bielorussia, in un tentativo del dittatore bielorusso Lukashenko di destabilizzare uno dei suoi vicini e di creare scompiglio tra gli Stati europei.

In seguito alla decisione presa lunedì da Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, sono state spostate in quest’area delle truppe e dei mezzi statunitensi che già si trovavano in Europa. In seguito all’attacco lanciato dalla Russia nella mattinata di giovedì 24, questi tre Stati e altri membri dell’Alleanza hanno chiesto che venga attivato l’articolo 4 del Trattato Nord Atlantico, il quale prevede che gli alleati si consultino insieme se – nell’opinione di chiunque di essi – l’integrità territoriale, la sicurezza politica o l’integrità di qualsiasi membro sia minacciata.

Polonia

Delle ulteriori truppe statunitensi sono state ricollocate anche in Polonia e da parte polacca sono stati inviati verso l’Ucraina degli armamenti. A differenza degli Stati baltici, in Polonia – come in altri paesi – la situazione che più preoccupa direttamente non è un attacco russo ma un’ondata migratoria di cittadini ucraini. A riguardo stanno venendo preparati piani organizzativi per gestire una potenziale enorme ondata migratoria.

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Colonne di veicoli che lasciano la capitale ucraina Kiev in direzione ovest
Fonte: New York Times/Twitter

Relativamente a come agire in risposta alle ultime decisioni russe, secondo la Polonia le prime sanzioni che sono state imposte dagli Stati occidentali sono un buon inizio, ma bisognerebbe essere più severi: ad esempio, si ritiene che la Germania non dovrebbe bloccare solamente il gasdotto Nord Stream 2, bensì anche il gasdotto Nord Stream 1.

Slovacchia

In Slovacchia la situazione non è tanto chiara quanto lo è in altri Stati: il governo sostiene le decisioni prese insieme agli altri alleati occidentali, infatti a inizio mese è stato approvato dal parlamento un accordo che permette all’esercito statunitense di utilizzare due aeroporti (praticamente identico a quanto approvato da Polonia e Ungheria nei mesi precedenti), mentre normalmente gli USA non mantengono alcuna presenza militare nel paese; ciononostante, l’opposizione critica le relazioni transatlantiche. Inoltre, la maggioranza relativa della popolazione ritiene che la situazione in Ucraina sia stata causata dagli USA.

Anche per la Slovacchia le conseguenze più influenti di uno scenario in cui si verifica un’escalation militare potrebbero avere a che fare con il numero di ucraini che attraverserebbero il confine, situazione a cui il governo si sta preparando e per cui potrebbe ricevere anche supporto dalla vicina Repubblica Ceca.

Ungheria

L’Ungheria del primo ministro Orbán ha sempre cercato di mantenere una posizione intermedia tra l’UE e la Russia, cercando di ottenere dei benefit da entrambi i rapporti.

I rapporti con la Russia si incentrano soprattutto sul tema energetico, in cui l’Ungheria cerca di ottenere un buon accordo sulle forniture di gas ma anche supporto economico per costruire una centrale nucleare. I due leader si sono incontrati a Mosca a inizio febbraio e al termine dell’incontro Orbán ha ribadito la necessità di trovare una soluzione diplomatica alla questione ucraina, suggerendo al blocco occidentale di ispirarsi all’approccio ungherese alla questione, che negli anni – sostiene – ha portato a una relazione mutualmente beneficiale.

Ha perciò criticato le sanzioni che l’UE ha nel corso degli anni deciso di imporre alla Russia, spiegando che hanno fatto più danni all’Ungheria che allo stato russo; ciononostante, in ambito europeo le sanzioni sono delle decisioni prese dal Consiglio (l’organo in cui sono rappresentati i capi di stato e di governo degli Stati membri) all’unanimità, perciò votate anche dalla stessa Ungheria.

RUSSIA-HUNGARY-DIPLOMACY
Foto dell’incontro tenutosi a Mosca a inizio febbraio tra Orbán e Putin
Fonte: Politico

Tale situazione dimostra come l’Ungheria cerchi di ottenere il massimo dei vantaggi da entrambe le parti in gioco, senza però voler davvero spaccare il fronte dell’UE e della NATO. Relativamente alla crisi ucraina, sebbene rifiuti soldati provenienti da altri Stati membri dell’Alleanza Atlantica (sostenendo che il proprio esercito nazionale sia sufficiente, anche in ambito di missioni NATO), l’Ungheria ha comunque superato le iniziali esitazioni e ha accettato le prime sanzioni proposte dall’UE nei confronti della Russia.

Ritiene però che una vera soluzione alla questione si potrebbe trovare solo con un incontro diretto tra gli USA e la Russia, sperando che la diplomazia riesca ad evitare ulteriori escalation; in ogni caso, parte dell’esercito è stata mobilitata verso la zona di confine con l’Ucraina, anche per gestire in maniera migliore eventuali flussi migratori.

Romania

Anche per la Romania la gestione dei migranti che potrebbero lasciare l’Ucraina in caso di conflitto è la questione che direttamente causa le principali preoccupazioni; qui la situazione potrebbe però risultare più complicata perché il sistema di accoglienza rumeno sta vivendo una fase di difficoltà e non pare adeguatamente attrezzato per gestire un’ulteriore ondata.

Per quel che riguarda l’ambito militare, invece, a inizio mese sono arrivati nel paese dei soldati statunitensi, ma potrebbe anche essere organizzata una missione NATO che ricorrerebbe alla Romania come base. Tale decisione chiude ogni possibilità che la Russia ottenga quanto aveva proposto a fine gennaio, cioè la riorganizzazione della NATO secondo la struttura del 1997, quindi la rimozione di truppe da tutti gli Stati che allora non erano membri: tra questi ci sarebbero stati anche la Romania e la Bulgaria, ma fin da subito tale ipotesi è stata scartata dai rappresentanti dell’alleanza.

Bulgaria

La Bulgaria intende invece avere un ruolo primario nella situazione e non vuole soltanto ricevere supporto dagli altri alleati: come dichiarato dal primo ministro Petkov, l’esercito bulgaro sarà pronto ad agire e sarà in grado di farlo anche da solo. Ogni iniziativa verrà però coordinata con gli alleati occidentali, con i quali la Bulgaria si sta anche confrontando per trovare soluzioni a un’eventuale riduzione delle risorse energetiche.

La Bulgaria ritiene di poter agire con il proprio esercito anche perché considera eccessivo il supporto militare fornito da altri Stati NATO, nel senso che la presenza di ulteriori forze militari potrebbe rendere peggiore l’escalation anziché aiutare a controllarla; in ogni caso, l’obiettivo primario deve essere trovare una soluzione diplomatica.

Turchia

Per la Turchia questa situazione potrebbe essere un’ulteriore occasione per ritagliarsi uno spazio di autonomia tra gli Stati occidentali e il contesto orientale. Negli ultimi anni, infatti, la Turchia ha preso delle decisioni non sempre pienamente in linea con il resto dell’Alleanza (ad esempio, ha comprato armamenti russi) e nel frattempo ha cercato di sviluppare una relazione molto pragmatica con la Russia.

Ciononostante, ha criticato la decisione russa di riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche separatiste nell’Est dell’Ucraina, però è contraria a imporre delle sanzioni alla Russia, anche per timore che da parte russa ci possano essere ritorsioni in ambito economico ed energetico. Erdoğan ritiene che l’approccio finora mantenuto dagli USA non sia costruttivo e si è anzi offerto di agire come mediatore tra Russia e Ucraina: a inizio mese ha incontrato il presidente ucraino Zelenskiy e ha invitato Putin ad Ankara.

Turkish President Tayyip Erdogan and Ukrainian President Volodymyr Zelenskiy sit at a desk and attend a joint news conference in Kyiv, Ukraine with large national flags of Turkey and Ukraine set up in the background
Foto dell’incontro tenutosi a Kiev a inizio febbraio tra Erdoğan e Zelenskiy
Fonte: al-Jazeera

Questo incontro dimostra come la Turchia cerchi di mantenere rapporti produttivi, che non necessariamente vuole dire amichevoli, con tutti gli attori, in modo da poter perseguire i propri interessi: relativamente alla questione ucraina, la Turchia ha interessi in gioco sia con l’una che con l’altra parte.

Le relazioni con la Russia riguardano l’ambito energetico e la politica estera in Medio Oriente, mentre quelle con l’Ucraina riguardano la possibilità di limitare l’influenza russa nell’area del Mar Nero (per quel che riguarda tale area, l’Ucraina aveva dichiarato che in caso di attacco militare russo avrebbe chiesto alla Turchia di impedire l’accesso alle navi russe; ad ora non ci sono notizie che tale richiesta sia stata fatta). Gli obiettivi turchi non riguardano solo questa situazione specifica, ma possono esserle utili in generale: ad esempio, ha anche la necessità di mantenere buone relazioni con gli USA per risultare isolata nel Mediterraneo orientale.

Ultimi aggiornamenti

Tutti gli Stati presi in considerazione hanno fermamente – perlomeno a parole – criticato l’attacco russo all’Ucraina che è cominciato nella mattinata di giovedì 24 febbraio. In giornata sia il segretario generale della NATO Stoltenberg che la presidente della Commissione europea von der Leyen terranno delle conferenze stampa; in ambito UE si riuniranno anche i ministri degli esteri degli Stati membri, mentre si terrà anche una riunione del consiglio permanente dell’OSCE.

Fino a ieri tutti gli Stati ritenevano necessario continuare a cercare una soluzione diplomatica, avendo però già dichiarato di voler imporre delle sanzioni alla Russia come conseguenza del riconoscimento delle due repubbliche separatiste nell’area del Donbass; in seguito agli ultimi aggiornamenti, la reazione occidentale dovrebbe consistere in ulteriori e più forti sanzioni. Dal punto di vista militare, invece, nelle scorse settimane erano già state spostate truppe dai vari Stati dell’Alleanza per rafforzare la propria presenza, a scopo difensivo, nell’area orientale dell’Europa.

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Di Alessio Piccoli

Mi chiamo Alessio Piccoli, ho 23 anni e vengo da un piccolo paese in provincia di Pordenone. Studio Scienze Politiche all'Università Cattolica di Milano ed è proprio di politica che mi occupo, interessandomi principalmente ai contesti italiano, europeo e statunitense. Tra le mie altre passioni ci sono la musica e gli sport, il calcio soprattutto.

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