Dopo il ricovero a Berlino durato 5 mesi, città dove è stato trasportato d’urgenza in seguito ad un avvelenamento, Alexei Navalny è tornato nel suo Paese d’origine. A dare un “caloroso” bentornato sono state le forze dell’ordine russe, le quali hanno arrestato l’oppositore politico di Putin appena atterrato a Mosca. Quel che è successo dopo è al limite dell’inverosimile: un’udienza “lampo” all’interno del dipartimento del ministero dell’interno russo a Khimki, con un preavviso di pochi minuti del legale di Navalny.
Il “processo”
La seduta si è conclusa con una condanna a trenta giorni di reclusione, e il 2 febbraio ci sarà un’altra udienza che potrebbe commutare la pena definitiva in una più ingente, di 3 anni e 6 mesi. Se la corte accoglierà la richiesta avanzata dalla sezione moscovita del Servizio Penitenziario-Federale (Fsin), Navalny rischierà di finire definitivamente in galera.
L’accusa è di non aver firmato bi-mensilmente (come da obbligo) per certificare la sua reclusione ai domiciliari, condanna emessa in seguito ad un altro processo-farsa che lo ha giudicato nel 2014 per reati finanziari. Naturalmente, egli non ha potuto firmare poiché era ricoverato in Germania, ma questo non ha alcuna valenza per l’autorità russa.

L’accusa ai servizi segreti russi
Durante la convalescenza in Germania, grazie all’aiuto della Bellingcat e della CNN, Navalny è riuscito a stanare i mandanti del suo tentato omicidio. Un team di agenti dell’FSB, i servizi di sicurezza russi, pedinava l’oppositore russo da anni e, al momento dell’avvelenamento, si trovava nei pressi dell’hotel dove Navalny alloggiava: lo ha dimostrato una lunga inchiesta pubblicata da diverse testate internazionali, tra cui Bellingcat e la CNN.

Le stesse testate hanno pubblicato un altro articolo in cui raccontano come Navalny avrebbe contattato per telefono gli agenti responsabili dell’operazione contro di lui. Usando una falsa identità, ha fatto confessare a uno di loro che l’FSB sarebbe responsabile dell’avvelenamento. Le telefonate tra gli agenti e Navalny sono avvenute il 14 dicembre 2020, poco prima della pubblicazione dell’inchiesta iniziale che rivela i nomi e le attività di pedinamento effettuate da questi ultimi.
Sostegno estero
Il politico russo è pienamente consapevole del rischio che corre, ma continua imperterrito la sua battaglia, sostenuto anche dall’Europa. Il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, ha dichiarato in apertura della sessione plenaria:
”Invito le autorità russe a rilasciare il signor Navalny, la sua detenzione costituisce una violazione dei diritti umani. Noi tutti lo sosteniamo”.
A riguardo, il Partito Popolare Europeo ha chiesto una discussione in Aula sull’arresto dell’oppositore politico al suo ritorno in Russia dopo l’avvelenamento subito la scorsa estate, e la richiesta di dibattito è già stata condivisa da altri gruppi parlamentari.
È Lo stesso Navalny, attraverso il suo canale Navalny Live, a lanciare un appello. «Scendete in piazza, non per me ma per voi stessi, per il vostro futuro. Non abbiate paura. […] Di che cosa ha più paura quest’orso che sta sul gasdotto, quei ladri che stanno nel bunker? Che la gente scenda in piazza. Perché è il fattore che non può essere ignorato, è l’essenza della politica”.
La crudezza dell’accusa di Navalny ha scosso le masse, colpendo profondamente il Presidente russo e provocando inevitabilmente un terremoto mediatico che difficilmente potrà stopparsi. Con la sua testimonianza, Navalny denuncia a tutto il mondo il modo autoritario in cui Putin continua a detenere il potere in Russia, attraverso metodi che sono ben lontani dall’essere liberal-democratici.
(Foto di copertina da Gazzetta del Sud)