Da giorni l’India sta vivendo una situazione di instabilità ed agitazione. New Delhi è occupata da più di due milioni di agricoltori, che si sono riuniti alle porte della capitale per protestare contro le nuove leggi sull’agricoltura.
Con l’approvazione – senza la consultazione delle parti direttamente interessate – della riforma di Modi, in cui sono contenute tre nuove leggi in materia, il governo punta a creare un mercato più libero. In tal modo, gli agricoltori ed i commercianti avrebbero una maggiore libertà economica: allentate le restrizioni sull’acquisto e la vendita di prodotti, rimossi i vincoli sulle scorte e permesso il lavoro a contratto sulla base di accordi scritti.

Tuttavia, per gli agricoltori questo nuovo regolamento “modernizzatore” risulta essere pericoloso data la possibilità di finire sotto impiego di per aziende straniere e multinazionali, mettendo quindi a rischio – secondo i manifestanti – l’economia locale. Sostengono, inoltre, che le leggi che deregolamentano le transazioni di prodotti agricoli ed il lavoro a contratto danneggino gli agricoltori e le piccole imprese.
A partire dalla seconda metà del mese scorso, un gran numero di contadini provenienti dal territorio del Punjab – una delle zone agricole indiane più fertili – e dell’Haryana sono partiti con i loro trattori verso la capitale. Uomini, donne e bambini si sono accampati nelle strade della città, combattendo contro il gelido inverno: protestano ardentemente per far valere i loro diritti, a tal punto da essere disposti a violare le norme igienico-sanitarie che la pandemia comporta. Ai contadini si stanno aggiungendo anche altre frange di ribelli, provenienti da altre regioni, ottenendo sempre più il consenso dei sindacati e delle opposizioni. La rivolta infiamma e non accenna a spegnersi, non senza l’abrogazione della neonata riforma agraria.
(Foto di copertina da: Internazionale)