Il 10 ottobre era la ‘Giornata mondiale contro la pena di morte’, istituita nel 2003 dalla World Coalition Against the Death Penalty (un’alleanza di ONG, associazioni e organizzazioni che combattono contro la pena di morte) e riconosciuta oggi da molti governi, dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dal Consiglio d’Europa, oltre che da numerose ONG (Amnesty International tra le più note e influenti).

L’obiettivo della giornata è sensibilizzare le opinioni pubbliche mondiali e creare una coscienza politica sul tema, oltre a mobilitare la società civile, i leader politici e la giustizia dei vari paesi per l’abolizione universale della pena capitale. Quest’anno in particolare era dedicata a riflettere anche sull’uso della tortura e di maltrattamenti e punizioni inumani e degradanti.

Credits: Delegation of the European Union to Türkiye

La protezione del diritto internazionale

Nel diritto internazionale esiste protezione contro l’uso della pena di morte. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR) recita che “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” (art. 3), ma soprattutto che “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti” (art. 5). Va sottolineato che la UDHR, adottata nel 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, non è vincolante per gli stati ONU, ma ha rappresentato comunque una fondamentale base giuridica per successivi trattati internazionali vincolanti e organizzazioni regionali in materia di diritti umani.

Inoltre, esistono altri trattati internazionali che bandiscono la pena di morte: il Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, legalmente vincolante; il Protocollo n° 6 e 13 della Convezione europea sui diritti dell’uomo, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa; il Secondo protocollo per abolire la pena di morte della Convenzione americana dei diritti dell’uomo, ratificato da molti paesi dell’America Latina.

Credits: Wikipedia

Vediamo ora qual è la situazione della pena di morte nel mondo, analizzando i dati riferiti al 2021.

I seguenti dati sono ricavati da: Al Jazeera; Amnesty International; Rapporto Death sentences and executions 2021 di Amnesty International

Una situazione eterogenea

Nel 2021, 55 paesi nel mondo ancora prevedevano per legge e praticavano la pena di morte; la stragrande maggioranza di questi si trova in Africa e Asia, mentre nell’Occidente “allargato” si annoverano in questa categoria gli Stati Uniti, la Bielorussia, il Giappone e Taiwan. Nel 2011 i paesi che praticavano la pena di morte erano 58.

Ci sono poi i paesi che di fatto hanno abolito la pena di morte, prevedendola ancora per legge ma non avendo eseguito pene capitali nei dieci anni precedenti. Nel 2021 questi stati erano 28 mentre dieci anni prima erano 35. Oggi fanno parte di questa categoria, tra gli altri, Russia, Corea del Sud, molti stati africani e alcuni paesi del Sudest asiatico.

8 paesi invece nel 2021 prevedevano la pena di morte solamente per crimini commessi durante periodo di guerra, nel 2011 erano 9 gli stati in questa situazione. Gli otto appena citati sono Guatemala, El Salvador, Perù, Brasile, Cile, Burkina Faso, Israele e Kazakistan.

Gli altri paesi restanti (108) hanno abolito la pena di morte sia in pratica che per legge. Dieci anni fa gli stati senza pena capitale erano 96.

Si registra quindi un trend positivo nell’ultimo decennio di abbandono dell’uso della pena di morte.

Credits: Al Jazeera

Esecuzioni e condanne

Amnesty International registra 579 esecuzioni capitali avvenute nel 2021 a livello globale, con un incremento del 20% rispetto al 2020. Nel 2010 le uccisioni erano state poco più di 800 e nel 2015 si era raggiunto il picco nel decennio di circa 1.600, sempre a livello mondiale.

Oltre ai giustiziati, anche il numero dei condannati a morte aiuta a comprendere meglio il fenomeno. Sempre secondo Amnesty International, nel 2021 nel mondo ci sono state almeno 2.052 nuove condanne a morte, aumentate del 39% rispetto all’anno precedente. Il picco di condanne nel decennio si è raggiunto nel 2016, con poco più di 3.000; nel 2012 le sentenze a morte erano state circa 1.700. A fine 2021 erano almeno 28,670 le persone con una condanna a morte pendente.

Da questi dati si vede che dalla metà dell’ultimo decennio le esecuzioni e le condanne sono in calo. Amnesty International ritiene che questi numeri siano tuttavia sottostimati, per via dei dati poco trasparenti forniti dalla Cina, che classifica i numeri sulla pena capitale come segreto di stato.

Chi fa peggio

Proprio per questo, Amnesty International può solo stimare che in Cina nel 2021 siano state eseguite migliaia di pene capitali, e che altrettante migliaia di persone siano state condannate a morte. La poca trasparenza impedisce di raccogliere dati completi anche per la Corea del Nord e il Vietnam e problematiche nel valutare l’uso della pena di morte sussistono anche per Afghanistan, Oman e Siria. Esclusi i tre paesi appena citati, gli stati con più uccisioni nel 2021 sono: Iran (314), Egitto (83), Arabia Saudita (65), Siria (24), Somalia (21), Iraq (17) e Yemen (14). Gli Stati Uniti hanno eseguito 11 condanne e il Giappone 3.

Credits: Al Jazeera

Amnesty International registra poi che nel 2021 sono stati usati quattro metodi di esecuzione: decapitazione (in Arabia Saudita), impiccagione (in Bangladesh, Botswana, Egitto, Iran, Iraq, Giappone, Sud Sudan ed Emirati Arabi Uniti), iniezione letale (in Cina, Stati Uniti e Vietnam) e fucilazione (in Bielorussia, Cina, Corea del Nord, Somalia e Yemen).

Le esecuzioni di minori rappresentano un’ulteriore problematica. Amnesty International scrive che «dal 1990 sono state documentate almeno 158 esecuzioni di persone che erano minorenni nel momento del crimine per cui sono stati condannati, in 10 paesi: Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Sud Sudan, Sudan, Emirati Arabi Uniti e Yemen». Fortunatamente molti di questi stati hanno eliminato la pratica di condannare a morte i minori.

Buone notizie

Quest’anno sono arrivate buone notizie per chi sostiene l’abolizione della pena di morte: a giugno nella Repubblica Centrafricana è entrata in vigore una legge che abolisce la pena capitale; la Papua Nuova Guinea a gennaio ha annunciato l’abbandono di questa pratica; il presidente dello Zambia ha annunciato la volontà abolire la pena di morte e ha presentato in parlamento una legge in merito, stessa operazione che è stata portata avanti a giungo dal governo della Malesia; a inizio 2022 in Kazakistan è entrata in vigore una legge che bandisce la pena capitale e il paese ha inoltre ratificato il Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici; infine, lo scorso settembre la Guinea Equatoriale ha abolito la pena di morte dopo la firma da parte del presidente di un nuovo codice penale.

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