Sono passati sette anni dall’ultima elezione del Presidente della Repubblica, quasi una vita. Molti tra di noi non si ricorderanno nemmeno di quando Mattarella si insediò al Quirinale. Tanto è cambiato da allora e molti avvenimenti si sono succeduti, ma il modo di elezione e le attribuzioni che sorgono in capo al Presidente della Repubblica sono rimaste invariate. Ora che ci avviciniamo a delle nuove elezioni del Capo di Stato è preferibile fare un po’ di chiarezza su cosa significhi realmente questa carica per la nostra democrazia. Fin da quando siamo piccoli, il Presidente della Repubblica ci viene descritto quasi come una figura marginale e mitologica della nostra repubblica, il c.d. “Garante dell’unità”.
Tutti abbiamo sentito almeno una volta durante le scuole dell’obbligo questa frase e tutti abbiamo ritenuto che i suoi poteri fossero molto limitati se non addirittura inesistenti, quasi da etichettarlo come una figura “futile per la democrazia italiana” creando così molta confusione soprattutto tra i più giovani e per i non addetti ai lavori. Mai pensiero fu più sbagliato. Allora quale miglior occasione delle elezioni di un nuovo PdR per far chiarezza – in modo semplice e accessibile a tutti – sulla figura poco mitologia, ma tanto reale, del Presidente della Repubblica italiana, per poter vivere e capire tutti insieme gli avvenimenti a cui assisteremo tra qualche giorno (per l’esattezza lunedì 24 gennaio).

Chimere presidenziali
Come detto in precedenza, il Presidente della Repubblica è la massima carica dello Stato e ne rappresenta l’unità. Il suo mandato dura sette anni e non vi è nessun vincolo che il suo mandato non possa essere rinnovato (si veda il caso dell’ex PdR Giorgio Napolitano). Il Parlamento lo elegge in seduta comune, ossia la riunione di entrambe le camere (Senato e Deputati) avviene contestualmente e in un unico luogo. L’organo legislativo inoltre è integrato dai delegati regionali (tre per ogni regione, ad esclusione della Valle d’Aosta che ne ha solo uno) che sono nominati dai Consigli di ciascuna Regione.
La sua elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea, successivamente al terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Giusto per scendere nella pratica e fare qualche esempio, il PdR uscente Sergio Mattarella è stato eletto al quarto scrutinio con poco meno dei due terzi dell’assemblea. Mentre per eleggere il decimo Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, è stato necessario solamente uno scrutinio, infatti alla prima tornata aveva già il 70% dei consensi, oltre i due terzi necessari.

Non deve essere dimenticato che la nostra è una Repubblica parlamentare ed il Presidente della Repubblica non viene votato direttamente dai cittadini. Questo compito spetta alle assemblee legislative che sono elette dal popolo ogni cinque anni e come tali sono espressione indiretta di democrazia. Solo una volta compreso il meccanismo di nomina ed elezione, possiamo delineare le attribuzioni che sorgono in capo alla mitologica figura del “Garante dell’unità nazionale”. Per non tediarvi con un discorso che rimanda ad un corso universitario di Diritto Costituzionale, non mi addentrerò nel dettaglio, ma cercherò di tenere un profilo il più comprensibile e lineare possibile.

Garante di un “potere neutro”
Prima di tutto deve essere precisato che il potere del PdR si configura come “potere neutro”, ma non bisogna cadere nell’errore di pensare che sia nullo, infatti egli è posto al di fuori, o per meglio dire al di sopra, della classica tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario).
Essendo posto al di sopra di questi tre poteri e portando con sé una sorta di “indirizzo politico costituzionale”, quale garante della Costituzione e dell’unità nazionale, attraverso le sue attribuzioni può interferire con tutti e tre i poteri, anzi laddove sia in pericolo la democrazia è tenuto ad intervenire per riportare l’ordine.
Per tale motivo le sue attribuzioni sono le più varie possibili in modo da poter toccare tutti gli aspetti della vita di uno stato democratico. Vanno dalle attribuzioni riguardanti il potere giudiziario, come la nomina di cinque dei quindici giudici della Corte costituzionale, per poi passare agli aspetti che concernano il potere legislativo. Qui possiede le più ampie prerogative: l’autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge governativi alle Camere, la promulgazione e il rinvio presidenziale delle leggi, la facoltà di sciogliere le camere anticipatamente e di convocarle in via straordinaria, oltre a provvedere alla indizione delle elezioni delle Camere e del referendum. Per culminare, infine, nelle attribuzioni riguardanti il potere esecutivo attraverso la nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri, oltre alla possibilità di concedere la grazia e poter commutare le pene.
Le sue attribuzioni però, non si limitano ai classici poteri statali, infatti, il Presidente della Repubblica ha la funzione di rappresentante generale dello Stato e come tale deve intrattenere i rapporti con i rappresentati diplomatici degli stati esteri oltre ad avere il comando delle forze armate del Paese.
Ecco tracciati i contorni essenziali di una carica che piano piano si libera della sua aurea mitologica per diventare sempre più reale e concreta.

Tra caratteristiche divine e reali
Dopo aver delineato la carica di Presidente della Repubblica, una domanda sorge spontanea, chi può essere eletto come PdR? In questo la Costituzione ci viene in aiuto, infatti l’art. 84 della nostra Carta sancisce che può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici; pertanto chiunque abbia superato quella soglia limite di età e goda dei diritti richiesti può essere eletto.
Come detto in precedenza il PdR è espressione di unità e la sua nomina avviene con maggioranza dei due terzi o a maggioranza assoluta; da ciò si può ben capire che la sua elezione è figlia o di compromessi tra le varie fazioni politiche o risulta quale espressione della maggioranza che governa il paese in quel determinato momento storico, ma nulla toglie che sia un soggetto indipendente e senza bandiera politica.
Quindi non sono necessarie campagne elettorali o mediatiche, oppure candidati di questo o quel partito; non è nemmeno necessario essere un politico, anche se spesso (anzi sempre) si preferiscono personalità che abbiano una certa esperienza con le istituzioni o per lo meno siano esperte di diritto ed abbiano già ricoperto cariche pubbliche.
La motivazione di ciò è da ricercare nel fatto che la carica di Presidente della Repubblica è vista come il culmine della carriera politica, quasi come se fosse un retaggio proveniente dalla Roma antica, una sorta di cursus honorum, attraverso il quale un politico, dopo aver avuto una splendida carriera e rivestito una dopo l’altra cariche pubbliche sempre più importanti, voglia raggiungere la massima autorità dello Stato, per poi, al termine del mandato presidenziale ritirarsi a vita privata.
Altro fattore che non deve essere trascurato è l’età minima richiesta, di 50 anni. Ad oggi la media al momento della nomina, tra i vari Presidenti della Repubblica, è di 73 anni (abbassa la media Francesco Cossiga eletto all’età di 57 anni), perciò si preferisce quasi sempre un soggetto di età avanzata che abbia esperienza, ma soprattutto che abbia seguito il suo “cursus honorum”. La figura del PdR , forse anche per questo motivo viene vista sempre più come mitologica, un sorta di santone che dall’alto della sua vecchiaia ed esperienza deve proteggere l’unità nazionale, quasi come fosse un patriarca di biblica memoria.

Una nuova divinità: il PdR 2.0
Analizzando tutti questi aspetti e considerando che le elezioni del Presidente della Repubblica si terranno in un clima mai visto prima (pandemia in corso, società che giorno dopo giorno acquisisce sempre più consapevolezza e unità di sé, distaccamento dei più giovani dalle realtà politico sociale del Paese) credo sia giunto il momento di cambiare lo stampo con il quale vengono “forgiati” i vari Capi di Stato; tutto ciò può avvenire eliminando quell’aurea mistica che circonda fin da sempre questa figura.
Prima di tutto si potrebbe pensare ad un metodo alternativo di voto, quello a distanza per esempio, per consentire così, a tutti i parlamentari che sono impossibilitati a recarsi in aula di poter prendere parte all’elezione. Così facendo si potrebbe provare la modalità di voto da remoto su piccola scala, per poi andarla a sviluppare in modo completo per le elezioni a livello nazionale, una specie di digitalizzazione delle votazioni.
Purtroppo i dubbi sono molti e secondo alcuni risultano essere insormontabili, in quanto il regolamento della Camera, che assume le funzioni di seggio elettorale durante le elezioni del Capo dello Stato, non consentirebbe questa modalità di votazione e una modifica nell’immediato sarebbe impensabile, perché richiederebbe troppo tempo.
Anche se a dirla tutta in questi due anni di pandemia era prevedibile che si rendesse necessaria una votazione da remoto o perlomeno alternativa a quella classica, ma evidentemente nessuno ha reputato fosse importante provvedere a colmare una simile lacuna.
Inoltre per poter svecchiare la politica e far avvicinare i giovani, bisognerebbe proprio partire dalla carica più alta dello Stato, magari eleggendo una personalità forte, di esperienza ma che non sia vetusta, in grado di coniugare le esigenze di tutti gli schieramenti politici, nonché dell’intero Paese, una figura rappresentativa dell’unità e non divisiva, che raggruppi in sé tutti gli interessi sociali e politici, in poche parole un “Presidente della repubblica 2.0”, che sia al passo con i tempi. In attesa di vedere chi verrà eletto come tredicesimo Presidente della Repubblica italiana, non mi resta che augurare a tutti delle buone e democratiche elezioni.