Andare a cercare l’uguaglianza in una delle enclave socio-culturali più solide del secolo, un appuntamento che vede letteralmente tutto il mondo lanciarsi su una striscia di terra sottilissima e affannarsi per ottenere gli scatti migliori sul red carpet, sembra un’operazione paradossale.
I nostri genitori non ci andavano, o se ci sono andati una volta è stato perché qualche amico/parente/vicino di casa era stato mandato dal lavoro o aveva una fissa per un regista in particolare, ma di fatto la mostra non è mai diventata appannaggio di ampi strati sociali, non la si è mai considerata un luogo di aggregazione totale. Ci vanno i giornalisti e le star; ai cittadini rimangono i servizi di Rai Uno sulla qualità dei film in concorso e quelli di Canale 5, sugli abiti sfoggiati dalle attrici più in voga. A ogni modo, siamo arrivati ad un impasse tale per cui la nostra generazione non conosce né la grandezza né le contraddizioni di questi 10 giorni in cui il tempo si ferma e lo spazio si dilata.
Appena arrivati a Venezia, durante le giornate del festival, si percepisce subito un’aria elettrica, elettrizzata ed elettrizzante; in primis, per il numero di addetti ai lavori presenti, giornalisti e fotografi ma anche fonici, cameraman, tecnici del suono, tutti di corsa con il badge al collo, a fare la spola tra il capoluogo e il Lido. La prima doccia di umiltà arriva in traghetto; a meno che tu non voglia noleggiare un’imbarcazione privata, l’unico modo per raggiungere la zona è stiparsi per 40 minuti su un coso degli anni 80, con i bimbi del centro estivo che strillano alla maestra e il reporter di Sky incazzato al telefono. Ma come, sono solo le 7 e 20! E quindi?
La magia inizia la mattina presto, prestissimo: alle 8.30 le prime proiezioni stanno già girando, tendenzialmente sono riservate all’industria della comunicazione, ma se possiedi un abbonamento-accredito (sono riservati a chi lavora in settore cinematografico o di comunicazione e agli studenti universitari, e gli sconti sono vantaggiosi) potresti entrare e trovare posto. Vedere un film, magari anche peso o in una lingua sconosciuta e sottotitolato, alle 8 del mattino, è un’esperienza che va fatta. Anche in questo sta la bellezza dell’evento: chiudere la gente dentro una sala buia mentre fuori il sole si fa caldo e rilasciarla un paio d’ore dopo, vederla riversarsi sui pochi bar presenti alla ricerca di un caffè e un’occasione di scambio su quanto appena visto.

Lo studente accreditato ha accesso più o meno a tutte le aree e può capitare si ritrovi a dare per sbaglio una gomitata a Simona Ventura mentre parla con gli amici degli affari propri. Che poi ci sia qualcosa di pazzesco nel vedere i “vip” mentre fanno la fila per andare in bagno, siamo d’accordo, forse no, ma è inutile negare che un po’ di emozione lo dia il ritrovarsi immersi in uno scenario visto solo in tv.
In ogni caso, sono tutti meno snob del previsto: essere un giovane vestito casual in mezzo a persone in abito da sera, non è occasione di vergogna o di occhiate di traverso, abbiamo tutti il diritto di essere lì e il fatto di avere degli spettatori, è uno dei motori dell’industria intera. Le uniche persone che vi guarderanno male sono la categoria degli influencer; spesso venuti da lontano, li si riconosce per i vestiti pieni di lustrini già alle due del pomeriggio, mentre si fanno fotografare dal partner (e a volte dai genitori) impegnati in pose provocanti. Non sorridono a nessuno, non parlano con nessuno e, badate bene, non entrano alle proiezioni se non di rado. Ovvio, la mostra è appunto una vetrina: ma di che cosa esattamente? Stare in terrazza Campari tutto il giorno (avendone bevuto uno solo), è una buona operazione di marketing?
Forse sì, ma per noi non è affatto interessante.
Piuttosto, un paio di film che ho visto e che mi sento di consigliare di cuore:
Un film che vedrete ovunque, nelle sale, su Netflix, sugli insta della gente e su cui fate bene a premere “play”: Qui rido io, regia di Martone e performance impeccabile di Toni Servillo. La storia di un uomo, Eduardo Scarpetta, ma sopratutto della società napoletana di inizio novecento; una famiglia fin troppo allargata affronta numerose peripezie di fatto rimanendo seduta a teatro, combattendo battaglie ideologiche e drammi interiori. Il cast è eccezionale; si segnala, in particolare, la performance dell’omonimo Eduardo Scarpetta, uno dei nipoti del capostipite della dinastia Scarpetta-DeFilippo, nelle vesti del figlio Vincenzo, caricato di aspettative dal padre, ma sempre in grado di restituire uno sguardo originale e disilluso sul contesto in cui è inserito. Capitale la scena, dopo un pranzo di sapore testamentario, in cui Vincenzo e Eduardo, uno dei figli più o meno legittimi dell’attore (e che diverrà poi uno dei più celebri- si capisce subito che si tratterà di Eduardo DeFilippo, ma la pellicola ci tiene a specificarlo un paio di volte), osservano i familiari impegnati a sollazzarsi in varie attività, il gioco delle carte, il riposino, il canto e i balli, come si trattasse di una tela: “siamo tutti figli suoi” suggella una verità dolorosa ma necessaria con una poesia senza pari.

Un film di cui forse in Italia non sentirete parlare (ma è un grande peccato): Les choses humaines, regia di Yvan Attal, da un romanzo di Karine Tuil. Una storia forte sul concetto di giusto e sbagliato, ma anche sul relativismo e lo sdoppiamento dei punti di vista: una notte vista da due paia di occhi e raccontata con un codice espressivo ed emozionale diverso, non è la stessa notte. Nè buoni né cattivi, i protagonisti raccontano la loro verità (che è distinta- come ben sancito dall’avvocato di uno dei due in sede processuale, dalla verità giudiziaria). Filmone sulla complessità che però non assume mai tratti troppo coloriti; se la pellicola fosse stata statunitense avremmo visto molti più momenti tragici, invece qui facciamo una doccia di realismo in compagnia di Charlotte Gainsbourg nel ruolo della madre di un giovane studente accusato di stupro, capace con un solo sguardo di restituire una gamma di emozioni potentissime e di Ben Attal, figlio della coppia Attal-Gainsbourg, giovanissimo talento che speriamo di poter rivedere presto sul grande schermo. Un film da vedere da soli o in compagnia, che si sappia il francese o che non si sappia, una cosa che va vista di questi tempi, per necessità.

Ah, e se vi capita di essere al Lido l’anno prossimo, fateci caso: durante tutta la giornata vi sparano a mille le hit commerciali che speravate di esservi lasciati alle spalle una volta entrati nel mese di settembre, ma quando è il momento del red carpet, mettono Lucio Dalla e Guccini. In ogni caso, in un modo o nell’altro, pure Sorrentino ha dovuto sorbirsi Sotto il sole di Riccione. E va benissimo così.