Julian Assange, cofondatore del noto sito web Wikileaks, è più vicino che mai all’estradizione negli Stati Uniti, dove sarebbe accusato di spionaggio. Rischia fino a 147 anni di carcere.

Julian Assange, tra molte luci e ancora più ombre, è uno dei personaggi più controversi del mondo dell’informazione. Praticamente a partire dal 2010 è sempre stato sotto l’occhio vigile della magistratura britannica e di quella americana, che da allora tenta di farlo estradare per condannarlo con l’accusa di spionaggio. Prima di arrivare al presente è bene però considerare le varie tappe delle vicende in cui è rimasto coinvolto Assange.

La fondazione di Wikileaks

È il dicembre del 2006 quando l’australiano Julian Assange, con altri collaboratori e attivisti, fonda il sito Wikileaks. Il loro scopo era quello di portare alla luce i comportamenti non etici di governi e aziende, attraverso la collaborazione, rigorosamente anonima, di quanti ne fossero a conoscenza. Fin dall’inizio, gli attivisti di Wikileaks si mostrano fortemente interessati alla politica internazionale. La loro prima pubblicazione conteneva infatti un documento che mostrava un complotto per assassinare membri del governo somalo.

È dal 2010 però che Wikileaks arriva prepotentemente agli onori delle cronache mondiali. In quest’anno affida al New York Times, al The Guardian e al settimanale tedesco Der Spiegel documenti riservati inerenti alla politica estera statunitense in Afghanistan e Iraq. Tali documenti, verificati dai giornali stessi, riportavano l’uccisione di civili, torture e inadempienze delle autorità USA nel perseguire violenze e abusi dei propri soldati. Fondamentale per questo materiale è stata l’azione di Chelsea Manning, militare americana, in seguito condannata per aver diffuso video e documenti riservati. È da questo momento che le autorità statunitensi avviarono un’indagine su Wikileaks e su Assange, indagine che si concluse con la richiesta di estradizione.

Le vicende giudiziarie

Nel 2010 il tribunale di Stoccolma emette un mandato di arresto per un presunto stupro, a seguito di due rapporti sessuali consenzienti ma non protetti. Fin da subito alcune circostanze, come la pressochè contemporaneità con i leaks del 2010, fanno credere ad Assange che si tratti solo di un protesto per procedere, una volta in Svezia, all’estradizione negli USA. Consegnatosi a Scotland Yard, viene arrestato per poi venir rilasciato su cauzione. Il 2 novembre 2011, però, l’alta corte di Londra dà il via libera alla sua estradizione in Svezia.

Dal giugno 2012, fino all’aprile del 2019, Assange ha vissuto come rifugiato politico presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, chiedendo asilo come perseguitato. I cambiamenti di personale all’interno dell’ambasciata, però, fanno sì che il fondatore di Wikileaks perda la propria protezione e così nel maggio del 2019 viene arrestato per aver violato i termini della libertà su cauzione del 2010. Durante il periodo del processo fu detenuto nella HM Prison Belmarsh, un carcere di massima sicurezza britannico.

Contemporaneamente la magistratura deli Stati Uniti presenta 17 capi di accusa sulla base dell’espionage act, per ciascuno dei quali Assange rischia fino a dieci anni di carcere, nonché la possibilità (remota) della pena di morte. Tra numerosissimi rinvii a giudizio e appelli, in un primo momento, nel gennaio del 2021, i giudici inglesi negano la richiesta di estradizione degli Stati Uniti a causa delle sue condizioni mentali. Si riteneva, infatti, che il regime di detenzione che aveva affrontato lo avesse portato a una condizione di stress elevatissima, nonché di depressione, che avrebbero potuto condurlo al suicidio una volta giunto nelle carceri americane. Lo scorso 10 dicembre, però, l’Alta Corte di Londra ha ribaltato la sentenza di primo grado e dà il via libera all’estradizione, sulla base delle rassicurazioni degli Stati Uniti sulla tutela e sul trattamento che avrebbe ricevuto.

Proteste per la liberazione di Assange. Credits: Pressenza

Le proteste

Il trattamento subito da Assange in questi anni è stato al centro di numerose proteste e manifestazioni. In particolare l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel 2020 ha approvato all’unanimità un emendamento con il quale chiarisce che i procedimenti penali a carico di Assange costituiscono un grave e pericoloso precedente per i giornalisti e per la libertà di stampa; facendo eco al relatore speciale ONU sulla tortura, Nils Melzer, ha sostenuto che l’estradizione negli USA andava negata.

In tutto il mondo giornalisti e intellettuali hanno spesso fatto appelli ai propri Paesi e alla comunità internazionale per concedere al fondatore di Wikileaks una maggior tutela, facendo nascere un vero e proprio caso mediatico. Questi movimenti acquistano maggior vigore se considerati alla luce dell’inchiesta di Yahoo! News, secondo la quale nel 2017 la CIA avrebbe progettato di rapire o addirittura uccidere Julian Assange, mentre ancora si trovava al sicuro nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Il dibattito pubblico si è spostato sulla questione della libertà di stampa e sulla possibilità per giornalisti ed operatori del settore di poter fare il proprio lavoro senza condizionamenti o rischi.

Si affronta quindi un tema complesso e intricato: può l’interesse di uno Stato prevalere sulla divulgazione della scomoda verità? La vita e la reclusione di Julian Assange, reo di aver fatto trapelare dati sensibili e spesso aberranti come le rivelazioni sul “collateral murder“, chiaramente non sempre con mezzi legali (come l’hackeraggio), sembrano rispondere positivamente.

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Di Giorgio Carboni

Laureato in Lettere Classiche. Amo la letteratura e la campagna. Credo nel giornalismo come strumento per rendere le persone consapevoli del mondo che hanno intorno.

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