Uno degli aspetti più odiosi dell’assistenzialismo sta nell’implicita dipendenza che produce, e che finisce, pur prendendo forma per mezzo di desideri egualitari, per legare l’individuo alla benevolenza paternalista dell’istituzione che eroga questo o quel sussidio. Questa dinamica rappresenta il tradimento della funzione di qualsiasi strumento di welfare: arricchire la “cassetta degli attrezzi” di quei cittadini che sono nati con, o hanno acquisito, uno svantaggio che mina alla base la loro stessa autonomia personale.
Il nostro Paese da questo punto di vista fornisce una lunga lista di esempi di come una politica di welfare possa fallire, deviando dalla finalità emancipatrice, e divenire nel migliore di casi un “helicopter money” (uno sperpero di finanza pubblica), nel peggiore una misura che acuisce i problemi sistemici (che si concatenano alla causa dell’intervento), producendo incentivi controproducenti o altamente distorsivi. Insomma, un disastroso ribaltamento del modo di dire “due piccioni con una fava”.

Cos’é il Superbonus 110
Da questo punto di vista misure come il “Super bonus 110” (adottata dal governo Conte II nel luglio 2020) costituiscono un ottimo caso studio di una misura economica adottata con una finalità condivisibile: il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, che tuttavia è finita per avere ampi effetti distorsivi sia sotto l’aspetto redistributivo, sia per quanto riguarda il comparto dell’edilizia. Il “Super bonus” stanzia complessivamente 18,5 miliardi, finanziati in parte dai fondi del PNRR e dal Fondo complementare (complessivamente 30.6 miliardi di debito aggiuntivo).
Mentre, le finalità annunciate dal Governo erano: “Il Superbonus 110 per cento è una misura di incentivazione […] che punta a rendere più efficienti e più sicure le nostre abitazioni. Il meccanismo prevede che gli interventi possano essere svolti anche a costo zero per il cittadino! […] Questa misura crea un meccanismo virtuoso di mercato che offre benefici a tutti i soggetti coinvolti: il cittadino può ristrutturare casa gratuitamente, ridurre il costo delle bollette e valorizzare il proprio patrimonio immobiliare; l’impresa può aumentare il proprio fatturato grazie al maggior volume di lavori; lo stato può rendere più efficienti e più sicure le abitazioni e sostenere l’aumento dell’occupazione e del reddito”.
Le argomentazioni sopra riportate hanno due grandi difetti: non riportano i nessi di causalità tra i benefici promessi, ma soprattutto non indicano alcuna stima quantitativa (e quindi confutabile) del rapporto costi-benefici. In sostanza ciò che ci viene detto è: succederanno queste cose bellissime, come? Fidatevi, succederanno.
L’analisi dei risultati
Dopo oltre un anno dall’entrata in vigore, il “Super bonus” ha prodotto i primi risultati quantitativi, e con essi sono arrivate le prime valutazioni. Il primo è l’effetto sui prezzi. L’entità del bonus (110% in detrazione fiscale) ha stimolato velocemente la domanda, in un paese che vede il possesso della prima casa largamente diffuso, ma al contempo ha annullato l’effetto di regolazione del mercato che i prezzi operano. In breve tempo, complice anche la situazione pandemica, i prezzi sono incrementati a tal punto da motivare un intervento dell’Antitrust.
Interventi poco efficienti e iniqui
Il secondo effetto, l’entità dell’efficientamento energetico, è strettamente legato al terzo, gli effetti redistributivi. Per come è disegnata la norma infatti, l’accesso al “Super bonus” non consente di avviare materialmente gli interventi senza avere le risorse necessarie ad ingaggiare un’impresa edile, questo ha un semplice risultato: al bonus accede chi già poteva permetterselo. Guardando i dati, a maggio 2021 due terzi delle risorse impiegate (1,3 miliardi) erano state impiegate per la ristrutturazione di immobili di alto valore. Questo produce un effetto redistributivo certamente distorto, se non rispetto alle intenzioni del legislatore certamente rispetto al buon senso. A ciò si lega poi la questione costi-benefici rispetto all’impatto dell’efficientamento energetico, le categorie di immobili maggiormente coinvolte sono statisticamente quelle già più efficienti energeticamente.
La politica cosa dice?
Alla luce di questi effetti la risposta politica degli ultimi giorni non fa presagire tuttavia un ripensamento. Come riportato dal Sole 24H le principali forze politiche (PD, M5S, Lega) hanno chiesto che il provvedimento non venga rivisto, e anzi in generale si è sostenuta la necessità di un potenziamento della misura. Il premier Draghi e il ministro dell’economia Franco sembrano invece intenzionati a ridurre l’entità del finanziamento e ad inserire un tetto ISEE per l’accesso ai fondi.