Quando c’è da riconoscere i meriti, io sono il primo a farlo, pure se la persona in questione o le idee che questa rappresenta non mi aggradano. Così, mi ritrovo a riportare in auge un’idea del passato di un mio “nemico politico”, Matteo Renzi: la trasformazione del nostro sistema parlamentare in uno di tipo monocamerale per evitare il continuo blocco degli iter legislativi.

I più appassionati di politica, o chi comunque ha una buona memoria, si ricorderà che questa proposta era una delle principali in quel referendum costituzionale assai confusionario (e dall’esito disastroso) del 4 dicembre 2016. Col senno di poi, è un bene che quel referendum non abbia superato il voto popolare, in quanto diversi punti risultavano molto controversi, a partire dalla legge elettorale proposta. Salvo la riforma del Parlamento.

Ecco: se oggi in Italia vigesse un monocameralismo, potremmo dire che la misura sarebbe andata a discapito proprio del suo portavoce Matteo Renzi.

Ddl Zan: una storia infinita

Come sicuramente avrete letto in questi giorni (anche sul nostro pagellone settimanale), Italia Viva – partito dell’ex premier fiorentino – ha fatto marcia indietro sul ddl Zan, contestando in particolar modo l’art. 1 della proposta di legge.

Infatti, il suo leader e diversi esponenti di partito si sono opposti all’estensione della legge Mancino anche alle discriminazioni sulla base dell’identità di genere. Inoltre, la critica si estende anche all’art. 4, accusandolo di essere troppo vago e lasciando troppo potere ai giudici – flessibilità interpretativa, questa sconosciuta –, e l’art. 7, inerente all’introduzione nelle scuole della sensibilizzazione sui temi riguardanti l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Insomma, vi è la riproposizione del ddl Scalfarotto.

Notate qualcosa di strano? Esatto, sono le stesse identiche posizioni assunte dalla destra e dalla Curia. E, credo non a caso, emergono dopo la lettera del Vaticano. Non serve che vi spieghi quanto i temi religiosi siano importanti per la campagna elettorale, quindi non vi stupirà nemmeno lo sbilanciamento sempre più a destra di Renzi & Co., che presagisce l’ingresso di IV nella coalizione di centro-destra.

Illustrazione di Gianluca Costantini, per Il Domani

Cambio di rotta

Teniamo a mente una cosa: il ddl Zan aveva superato il voto della Camera. Il disegno di legge è il risultato di una raccolta di proposte provenienti da diverse forze politiche, principalmente quelle progressiste (e Italia Viva, che si definisce come tale ma che io mi rifiuto di annoverarla nella definizione). Dunque, l’aspettativa era che – una volta superato l’ostruzionismo di Ostellari (presidente della commissione Giustizia al Senato) tra audizioni “inutili” e continui rinvii – il ddl avrebbe tranquillamente superato la “prova del voto” al Senato. E invece sarà un terno al lotto.

Le cause di questo intoppo sono due: una politica, l’altra sistemica. Per quanto riguarda la prima, abbiamo già accennato prima le principali motivazioni. Accanto a ciò, alcuni esponenti si sono affidati alla scusante del “cambio di governo”, che avrebbe avuto delle ripercussioni sugli equilibri istituzionali: ennesimo caso di trasformismo politico giustificato dal nulla più assoluto. Anche se sappiamo bene come la coerenza per Matteo Renzi (sia chiaro, non solo per lui) non sia una virtù.

Il secondo motivo, quello sistemico, riguarda il nostro sistema parlamentare.

Il bicameralismo perfetto, che perfetto non è

La Costituzione italiana stabilisce che le due camere parlamentari, quindi la Camera dei deputati e il Senato, abbiano gli stessi poteri. Le uniche differenze sono sul numero dei parlamentari che le compongono e la loro provenienza, in quanto il Senato dovrebbe essere luogo di una maggiore rappresentanza territoriale. Rappresentanza che già prima era marginale, e che con il taglio dei parlamentari sarà ulteriormente deteriorata.

Quello che importa per la nostra discussione, però, è la condivisione degli stessi poteri. Ciò comporta che l’iter per l’approvazione e discussione di una legge abbia delle tempistiche notevolmente lunghe a causa di un continuo “ping-pong” tra le due camere a colpi di emendamenti. Ed è esattamente quello che sta accadendo col ddl Zan.

Questo sistema permette ai partiti di prolungare intenzionalmente il processo legislativo col fine di affossare alcune proposte, o perlomeno renderle meno mediaticamente esposte facendo quindi calare l’attenzione (e quindi la pressione) dell’opinione pubblica. Inoltre, consente il meccanismo dei “franchi tiratori”, parlando in politichese: vale a dire, semplificando, consentire che la maggioranza salti in una delle due camere dopo l’approvazione nell’altra.

Proposte alternative

Per superare l’impasse sistemico, le soluzioni istituzionali sono principalmente due: il bicameralismo imperfetto e il monocameralismo.

Il bicameralismo imperfetto è una forma piuttosto diffusa, in particolare nei sistemi federali, che crea una sorta di gerarchia delle camere. Generalmente, la prima è quella eletta direttamente dalla popolazione tramite le elezioni nazionali ed è quella che gestisce quasi interamente il processo legislativo; invece, la seconda camera è espressione delle elezioni regionali ed ha una funzione principalmente consultiva e di rappresentanza territoriale. Questo sistema consente di evitare un blocco nel processo legislativo in quanto non avviene il continuo scambio sopraccitato.

L’altra soluzione è il monocameralismo, che dal nome risulta essere piuttosto auto-esplicativo. Sistema che, personalmente, ha una pecca non indifferente in quanto non ha una vera e propria rappresentanza territoriale.

È tempo di cambiamenti

I tempi sono cambiati, e la semplicità di trovare una maggioranza nelle aule è un vago ricordo dell’esperienza primo-repubblicana. Quando le madri e i padri costituenti redassero la Costituzione italiana erano ben consci del periodo storico in cui vivevano: dopo troppi anni di divisioni, era il momento della coesione. E il bicameralismo perfetto fu un risultato di questo ragionamento.

Oggi, che le forze politiche e la società stessa sono profondamente divise, è il momento di superare quest’incertezza legislativa. E, dato che siamo consapevoli del fatto che le lotte ideologiche sono dure a morire, l’unico modo è la riforma del sistema parlamentare.

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Di Andrea Miniutti

Sono Andrea Miniutti, ho 21 anni e sono laureato in Studi Internazionali presso l’Università di Trento. Sono il direttore e co-fondatorer di Fast, mi occupo di politica (principalmente italiana) e temi inerenti a mafia e stragismo. Sono un grandissimo polemico.

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