Il 2011 ha rappresentato un sostanziale punto di svolta per le dinamiche dei fenomeni migratori all’interno dell’area mediterranea. La causa scatenante va rintracciata nello scoppio delle Primavere arabe, un’ondata di proteste e rivoluzioni che hanno interessato la regione del Nord Africa, del vicino Oriente e del Medio Oriente, nel tentativo di realizzare un ambizioso processo di rinnovamento politico e sociale all’interno di Paesi quali Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Yemen, Oman e Arabia Saudita.
Foto da: Gli Indifferenti.
È proprio a seguito della caduta di Ben Ali in Tunisia, della fine di Gheddafi in Libia e dello scoppio della guerra in Siria, che il fenomeno migratorio ha assunto un volto totalmente nuovo. La stagione del cambiamento politico, responsabile dei processi di democratizzazione tuttora incompiuti, ha provocato due esiti principali. In primo luogo, il clima di incertezza e di instabilità politica ha delineato un ampio movimento, all’interno e fra gli stessi Paesi direttamente coinvolti dall’ondata di proteste, di autoctoni e immigrati – quest’ultimi provenienti soprattutto dalla regione sub-sahariana. In secondo luogo, il minore controllo sul territorio, combinato all’indebolimento del potere istituzionale nella determinante fase dell’abbattimento dei regimi, ha innescato un incremento dei flussi di transito, generando ondate migratorie verso l’Europa meridionale, in particolare attraverso le rotte che collegano le coste nord-africane alle regioni del sud Italia. Soltanto tra il 2014 e l’agosto del 2018, circa 650.000 persone sono arrivate via mare nella sola Italia (https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean/location/5205), contribuendo a creare un acceso dibattito politico circa la gestione di quella che viene percepita e presentata come una vera emergenza.
Nel contesto dell’area mediorientale e nordafricana, è possibile distinguere le due questioni in funzione dell’area geografica di riferimento: i paesi del Medio Oriente, in particolare Turchia, Giordania e Libano, sono maggiormente interessati dalla crisi dei rifugiati siriani fuggiti dal conflitto civile iniziato nel 2011. Questi tre Stati ospitano sui propri territori circa 5 milioni e mezzo di rifugiati siriani, a fronte di circa 300.000 richieste di asilo in tutti i 27 paesi dell’UE insieme. Ciò comporta dei costi altissimi di gestione e dei problemi di integrazione, soprattutto in Paesi come il Libano in cui il numero dei rifugiati presenti sul territorio supera di gran lungo quello della popolazione.
Per quanto concerne il Nord Africa, invece, la questione più evidente è quella dell’immigrazione irregolare e della gestione dei flussi migratori diretti verso i paesi europei, oltre a quella dei rimpatri. Quasi tutti questi Paesi hanno, infatti, un ingente numero di immigrati irregolari originari dei paesi dell’Africa subsahariana. Fino a pochi anni fa, un contesto come quello libico costituiva soprattutto un Paese di destinazione; ma, dopo gli eventi del 2011, le crisi politico-istituzionali e di sicurezza, così come gli effetti delle politiche di chiusura europee, hanno in parte mutato tale assetto.
Foto da: ISPI.
Evidente è stata la pressione per l’adozione di una politica comunitaria volta a garantire una più equa redistribuzione delle responsabilità tra membri europei, al fine di ottenere una riduzione dei costi politici e sociali a carico degli Stati maggiormente esposti al fenomeno migratorio, quali Italia, Spagna e Grecia. Tuttavia, la mancante volontà politica di alcuni membri (Gruppo di Visegrad e Austria in particolare) in merito all’implementazione di un approccio redistributivo comune, ha condotto l’UE e i singoli governi a stipulare accordi con i Paesi di origine e transito. Una delle proposte politiche portate avanti con più insistenza dai leader europei è stata quella di istituire dei centri di accoglienza temporanei, i cosiddetti hotspot, in alcuni paesi del Nord Africa, per poter meglio gestire le domande di asilo prima del loro arrivo in Europa. Tale proposta, tuttavia, appare poco realizzabile, sia per il rifiuto stesso dei paesi eventualmente coinvolti sia per la mancanza delle condizioni strutturali necessarie.
L’ingente incremento dei flussi migratori ha conseguentemente posto numerosi Stati europei dinanzi a una nuova sfida gestionale di considerevole portata; ciò ha richiesto un’efficace mobilitazione di risorse combinata alla realizzazione di progetti di accoglienza sostenibili. La diversa natura del fenomeno migratorio post 2011 ha infatti richiesto un superamento di un coordinamento estemporaneo basato su una prospettiva meramente emergenziale, a favore di un approccio lungimirante volto all’effettiva integrazione della popolazione immigrata.
Le reazioni politiche e sociali dinanzi a questo fenomeno, tuttavia, sono andate nella direzione opposta: tolleranza, integrazione e apertura non hanno certamente dominato la discussione europea. Al contrario, forte è stata la tendenza verso la chiusura delle frontiere combinata a una diffusa riluttanza a riconoscere lo status di rifugiato alle vittime di conflitti. Ancora una volta è prevalsa l’incapacità politica di fornire risposte adeguate alla questione migratoria, fenomeno strutturale con il quale continueremo inevitabilmente a confrontarci nel futuro e che, pertanto, necessita di essere governato responsabilmente sulla base di un approccio cooperativo.
Foto di copertina da: UFTU.