Portogallo, 29 gennaio 2021, viene approvato dal parlamento il decreto che depenalizza l’eutanasia e l’assistenza al suicidio; il Presidente della Repubblica rinvia, alla Corte costituzionale lusitana, il decreto al fine di poter pronunciarsi in modo definitivo sulla questione di legittimità costituzionale. La Corte a seguito del riesame ne blocca la promulgazione, non in virtù dell’incostituzionalità del diritto all’eutanasia, bensì a causa della poca chiarezza procedurale, accompagnata dall’indeterminatezza di alcune locuzioni, come “estrema sofferenza” e “malattia cronica di estrema gravità”, presenti nel decreto; la legge ritornata in parlamento e adeguata con le indicazioni della Suprema Corte è passata con 138 sì, 84 no e 5 astensioni. Per l’entrata in vigore manca solamente la firma del capo di Stato, che potrebbe tuttavia imporre un veto, forzando un’ulteriore revisione parlamentare, o rimandare il progetto di legge alla Corte costituzionale per un’ulteriore valutazione
Spagna 18 marzo 2021 il parlamento approva la legge che legalizza l’eutanasia, la normativa entra in vigore il 25 giugno 2021.
Belgio, Paesi Bassi, Svizzera e Lussemburgo sono stati i primi paesi europei a prevedere e disciplinare all’interno dei propri ordinamenti il diritto all’eutanasia

LA SITUAZIONE ITALIANA
Mentre in Italia a che punto siamo? Per quale motivo nel nostro Paese tutte le sedi istituzionali tremano davanti a una cotale parola?
Una delle motivazioni per i più potrebbe essere: “siamo una nazione estremamente religiosa”; reputo che questa non possa essere la scusante, infatti, a onor del vero sia Spagna che Portogallo hanno un fondamento Cristiano Cattolico radicato tanto quanto noi, se non di più, eppure la questione è stata di prim’ordine, soprattutto in questi due anni, dove abbiamo dovuto affrontare le difficoltà causate dalla pandemia; perciò, a fortiori, tutte le giustificazioni riguardanti la religione dovranno e devono essere escluse.

Continuando con la ricerca delle scuse per evitare l’argomento, alcuni potrebbero ribattere: “Ora come ora non è un argomento di primaria importanza vi è altro a cui pensare, arriviamo da una pandemia, il COVID ci ha messo in ginocchio, c’è la crisi, è necessario pensare a questioni più importanti che a disciplinare il diritto all’eutanasia”. Potrebbe essere una tesi molto valida, infatti, è innegabile che la pandemia abbia causato gravi danni al tessuto sociale ed economico del nostro sistema, costringendo il mondo intero a rimanere “attonito” di fronte ad un simile evento. Eppure, come già detto in precedenza, sia la Spagna che il Portogallo non si sono fermati a guardare, hanno continuato a discutere nelle sedi istituzionali (e non solo) se fosse giusto o sbagliato concedere un simile diritto ai propri cittadini, fino a giungere ad una conclusione, giusta o sbagliata che sia.
La questione da sollevare per un argomento così delicato non è quella di essere contrari o favorevoli all’eutanasia, altrimenti si finirebbe per banalizzare un argomento tanto delicato quanto difficile da comprendere. Il punto controverso, che andrebbe affrontato, è che una simile tematica sia taciuta e relegata alle solite manfrine extraistituzionali, non dando modo alla collettività dei cittadini di informarsi o poter esprimere una propria opinione senza doversi veder costretti con le spalle al muro a schierarsi da questa o da quell’altra parte.

In un’epoca come quella in cui stiamo vivendo una simile tematica dovrebbe essere dibattuta in modo attivo e costruttivo in tutte le sedi (dal parlamento fino ai banchi di scuola), invece, piuttosto che affrontarla, prosegue un silenzio imbarazzante che va avanti da più di sette anni, preferendo delegare tutte le decisioni concernenti il diritto all’eutanasia alla funzione nomofilattica che sorge in capo alla Corte di Cassazione italiana oppure alle pronunce di legittimità della Corte Costituzionale.
LA PRIMA AUTORIZZAZIONE AL SUICIDIO ASSISTITO…O QUASI
Di questi giorni è la notizia che il Comitato Etico delle Marche ha dato parere favorevole per il primo suicidio assistito in Italia, ma non è tutto oro quello che luccica.
La vicenda riguarda un uomo di 46 anni tetraplegico immobilizzato a letto da 10 anni, che da più di un anno stava richiedendo all’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche (Asur) che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere alla somministrazione di un farmaco letale. Dopo un inizio tortuoso e alcuni dinieghi da parte delle autorità competenti, il 9 giungo di quest’estate il tribunale di Ancona ha disposto che l’Asur verificasse i requisiti necessari al fine di poter far accedere il paziente legalmente al suicidio assistito, in linea con quanto previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019 (Sentenza Cappato-Dj Fabo): “[..]l’effettiva idoneità ed efficacia della modalità, della metodica e del farmaco prescelti dall’istante per assicurarsi la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile”

Il Comitato Etico ha accertato la sussistenza dei quattro requisiti soggettivi per poter avanzare la richiesta: il paziente è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, non è sua intenzione avvalersi di altri trattamenti sanitari per il dolore e la sedazione profonda.
Dall’altro lato però ha sollevato dubbi sulle modalità e sulla metodica del farmaco letale che il tetraplegico marchigiano, immobilizzato da 10 anni, ha chiesto per porre fine alle sue sofferenze, lasciando così la decisione finale su tali requisiti all’Azienda Sanitaria marchigiana.
L’Asur Marche, però, non si è mai espressa, sino a d’ora, circa la “metodica, il farmaco e le modalità di esecuzione”, infatti, senza la relazione di verifica dell’azienda sanitaria locale il paziente non potrà accedere legalmente al suicidio assistito, lasciando in questo modo la situazione in uno stallo più burocratico che legale.
Come se non bastasse la Regione Marche, nella più totale ignoranza sulla vicenda, ha rilasciato il 23 novembre una nota nella quale dichiarava che “sarà il Tribunale di Ancona a decidere se il paziente tetraplegico di 43 anni potrà avere diritto al suicidio medicalmente assistito”, il tutto però è stato rilasciato senza tener conto del fatto che il Tribunale del capoluogo marchigiano si sia già espresso in data 9 giungo, delegando i compiti di verifica sulla sussistenza dei requisiti per il suicidio assistito all’Asur Marche, la quale rimanendo inottemperante al diktat del tribunale, ha costretto i familiari del paziente a richiedere la diffida ad adempiere per ben due volte, mettendo così in mora l’Ente.
VENTO DI CAMBIAMENTO
Ancora una volta, se non bastasse, questo caso offre uno spunto di riflessione su come la politica e le istituzioni italiane, siano fallimentari dinnanzi ad argomenti e situazioni così rilevanti. Il mutismo istituzionale lascia ancora una volta di stucco, su come temi di questo spessore e importanza siano lasciati unicamente a decisioni giurisprudenziali, che sembrano non aver nessun valore all’interno del sistema, infatti, seppur tali pronunce si sono dette favorevoli al suicidio assistito “nessun malato ha finora potuto beneficiarne, perché il servizio sanitario si nasconde dietro l’assenza di una legge che definisca le procedure” queste le parole di Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che sento di condividere pienamente.
Ma, tutto sommato l’orizzonte non è così scuro e cupo come sembra, infatti, in questi ultimi mesi la questione sta recuperando sempre più importanza e il dibattito piano piano si sta muovendo sempre più presso le sedi istituzionali. Il tutto anche grazie alla partecipazione in massa alla raccolta firme indetta dal Comitato Promotore Referendum Eutanasia Legale coadiuvato dall’Associazione Luca Coscioni, che in poco più di due mesi ha superato le 700.000 mila firme a favore del referendum per la legalizzazione dell’eutanasia.

La spinta per portare a galla tale questione è partita proprio dal basso, dai cittadini, fra cui molti giovani e personalità dello spettacolo, che hanno voluto ridare linfa ad una parola che sempre più si ha paura a pronunciare soprattutto nelle sedi istituzionali e che deve essere fatta valere come un vero e proprio diritto: EUTANASIA!