Durante questi mesi di guerra in Ucraina gli Stati Uniti hanno optato per supportare economicamente e militarmente lo Stato aggredito, senza però voler intervenire direttamente sul campo; in precedenza era anche stata presa la decisione di ritirare il contingente in Afghanistan, attuata in maniera inaspettatamente caotica.
Ciononostante, ci sono ancora contesti in cui la presenza diretta sul territorio viene considerata utile ed efficace: infatti, il 16 maggio il presidente Biden ha autorizzato il redeployment di soldati in Somalia, con l’obiettivo di formare e supportare le forze armate dello stato africano, ma senza prendere direttamente parte alle azioni armate contro il gruppo islamista al-Shaabab.
Il contingente statunitense sarà composto da massimo 500 individui e il presidente della repubblica somala, Hassan Sheikh Mohamud (è in carica da fine maggio 2022, ma aveva già ricoperto il ruolo tra il 2012 e il 2017) ha accolto favorevolmente questa decisione.

Breve recap storico
Il coinvolgimento militare degli USA in Somalia ha le sue origini negli anni ‘90: lo Stato africano – indipendente dal 1960 – era in una situazione di guerra civile dovuta agli scontri tra i vari clan che compongono la popolazione del paese. Nel 1991 il governo centrale, dal 1969 guidato dal generale Barre (che tentò di attuare politiche espansioniste, attaccando l’Etiopia per inglobare le minoranze somale che vivevano nella zona orientale del paese), cadde, ma nessun altro governo centrale venne creato.
Nello stesso anno la regione del Somaliland si autoproclamò stato indipendente, ma ancora oggi il suo status non è riconosciuto da molti paesi della comunità internazionale.

Venne perciò autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU una missione umanitaria (UNOSOM, UN in Somalia), che però non riuscì a fornire supporto per via degli scontri sul terreno; per rendere la situazione più agibile venne dunque autorizzata una nuova missione ONU (UNITAF, UN Task Force), stavolta con il permesso di agire militarmente: gli stati coinvolti nella missione incontrarono però grandi ostacoli e pesanti perdite.
Ciò successe anche agli USA: nel 1993 due elicotteri vennero abbattuti e i soldati coinvolti vennero uccisi (l’evento è stato rappresentato nel film Black Hawk down), suscitando una dura reazione da parte dell’opinione pubblica statunitense e la successiva decisione del presidente Clinton di ritirare prima le truppe da combattimento e poi tutto il contingente statunitense parte della missione. Le missioni ONU terminarono nel 1995.

Dalla metà degli anni ’90 la situazione peggiorò ulteriormente perché alla guerra civile tra clan e fazioni politiche si aggiunse la minaccia islamista: miliziani islamisti – in uno stato in cui l’Islam è la religione largamente più diffusa – erano presenti già nei decenni precedenti, ma consolidarono la loro struttura e il loro potere nel decennio a cavallo tra i due secoli.
Nei primi anni Duemila i clan principali trovano però un accordo per formare un governo di transizione, sostenuto dall’Unione Africana anche negli scontri militari contro i miliziani islamisti – ora uniti nel gruppo al-Shaabab – il cui controllo di buona parte del territorio contrasta l’autorità statale. Quest’ultima ha in verità anche grandi difficoltà a controllare le proprie acque territoriali, dove nell’ultimo ventennio si sono sviluppati gruppi di pirati che impediscono il transito a navi commerciali: per contrastare il fenomeno è attiva dal 2008 l’Operazione Atalanta gestita dall’UE.

Con la presidenza di Bush jr riprese il coinvolgimento statunitense in Somalia, sebbene stavolta in maniera indiretta: vennero messi in atto programmi di formazione delle truppe kenyane ed etiopi, attive in una missione dell’Unione Africana (AMISOM, African Unione Mission in Somalia), e vennero messi in atto bombardamenti (air strikes).
Questo piano d’azione venne mantenuto anche durante la presidenza Obama, che ricorse molto ai droni: l’obiettivo degli attacchi aerei negli anni sono state le milizie islamiste. Trump ha invece deciso di stazionare un contingente direttamente in Somalia per sostenere l’esercito locale, ma ha ordinato il ritiro completo delle truppe statunitensi poco prima della fine del suo mandato.
La decisione di Biden, dunque, di dispiegare nuovamente delle truppe riporta la situazione a com’è stata nell’ultimo quinquennio, spiegata nell’ottica di sostenere le deboli autorità statali che negli ultimi anni si stanno strutturando e devono anche gestire una critica situazione economico-sociale.