Sono passati cento giorni da quando l’esercito ha preso il contro dello Stato del Myanmar, attuando un sanguinoso colpo di Stato che ha portato anche all’arresto Aung Sann Suu Kyi – a capo del governo – con l’accusa di brogli elettorali durante le votazioni di novembre.
Il bilancio di questi cento giorni conta 700 morti e 3700 persone imprigionate o fatte sparire.
Il popolo birmano, però, non si arrende e continua ogni giorno a scendere in piazza per manifestare: in migliaia si sono incontrati in varie città del Paese per esprimere il proprio appoggio al nuovo “governo di unità nazionale”. Esso sarebbe formato da parlamentari espulsi dal Myanmar e pronti ad unire i dissidenti anti-golpe e fermare i militari che, nonostante un processo di democratizzazione, sono riusciti a mantenere sempre un quarto dei seggi nel Parlamento e ad esercitare sempre il loro potere.
Appoggio esterno
Dopo oltre tre mesi dal Colpo di Stato neanche l’esercito mostra alcun segno di cedimento nella loro brutale repressione degli oppositori nel tentativo di consolidare la loro presa sul potere
ha detto il portavoce dell’ONU Rupert Colville durante un briefing con i media.
Numerosi anche gli appelli da parte della Chiesa e di Papa Francesco che il 16 maggio presiederà una messa per i fedeli del Myanmar a Roma. Sempre rimanendo nel mondo cattolico, sta diventando virale in questi giorni la foto di suor Ann Nu Thawng, della congregazione di San Francesco Saverio, che supplica in ginocchio i militari di non sparare sui giovani manifestanti.

Oltre al popolo birmano, a scendere in piazza contro i golpisti sono le minoranze etniche, in particolare i Karen e i Kachin, con i primi che diventano sempre più bersaglio dell’esercito e i secondi che già in fasi passate si sono opposti con le proprie milizie armate contro il governo centrale.
La situazione è critica e il dialogo appare sempre più difficoltoso.