Trump: ancora una volta nel mirino della giustizia

Donald Trump, ex inquilino della White House, si vede ancora una volta protagonista di molteplici dispute politiche e legali. Questa volta nell’occhio del ciclone c’è la Trump Organization, holding che raccoglie le funzioni economiche del 44esimo presidente degli States, occupandosi di iniziative imprenditoriali (dallo sviluppo immobiliare al brokeraggio).

Dopo la prima causa legale intentata contro la società nel 1973 dalla Divisione diritti civili del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, ecco che l’ufficio del procuratore con a capo Vance Jr. sgancia una nuova rivelazione esplosiva: il conglomerato internazionale sotto la proprietà di Donald Trump viene nuovamente incriminato per uno schema di frode fiscale con ben 15 capi di imputazione, durato dal 2005 al giugno del 2021.

L’inchiesta, formalmente resa nota nel 2021 ma intrapresa già due anni prima con le indagini preliminari, mirava a provare che il gruppo societario avesse gonfiato i valori degli attivi per acquisire prestiti più ingenti e, contemporaneamente, avesse svalutato gli asset nelle dichiarazioni fiscali per ridurre le tasse. Sostanzialmente, per retribuire i manager e i dipendenti della società, venivano elargiti benefit in contanti a “nero”. A queste accuse si allegò anche quella di falsificazione di documenti contabili.

(Credits: Fanpage)

Il capo finanziario dell’azienda, Allen Weisselberg, braccio destro di Trump ormai dagli anni ’80, è stato arrestato per evasione fiscale a suo carico di circa 1,7 milioni di dollari di benefit.

Tutto ha avuto inizio probabilmente nel 2018 quando Michael Cohen, ex legale e affarista del leader M.A.G.A, durante una deposizione durata quattro ore davanti alla commissione di Vigilanza del Congresso per l’accusa di uso illecito di fondi elettorali, avanzò insinuazioni durissime contro l’ex presidente.

Non solo più un processo civile: aperta la pratica penale

Ad oggi, alla sola inchiesta civile, si affianca anche un’inchiesta penale, come comprovato dalla portavoce del procuratore general di New York Letitia James, la quale ha palesato la volontà di interrogare direttamente Donald Trump il prossimo 7 gennaio. I procuratori viaggiano in parallelo comparando documenti e prove, un po’ come accadde per il processo Manafort, coinvolto nel Russiagate, poi incriminato per aver frodato le banche ed evaso le tasse.

Letitia James sfida Trump: sarà la decisione giusta?

Anche se audace, la scelta avanzata dalla procuratrice newyorkese appare a tratti atipica: la sua istanza di interrogatorio va a sovrapporsi comunque ad un’indagine civile preesistente; dunque, seppure riuscisse ad ottenere prove sufficienti, i legali della difesa potrebbero obiettare sostenendo che le dichiarazioni formulate durante l’interrogatorio possano essere utilizzate illecitamente nell’altra indagine, violando dunque il Quinto Emendamento. E seppure un giudice dovesse acconsentire alla richiesta della James, quest’ultima verrebbe accusata di ricerca di visibilità per la sua eminente campagna elettorale a governatore.

La questione appare dunque assai ambigua; l’unica certezza che emerge in questo contesto è la risolutezza con la quale lo stesso Trump si dichiara non coinvolto nel reato di frode e asserisce come tali accuse siano prive di fondamento e “una continua caccia alle streghe politicamente motivata”, come ha dichiarato nella sua intervista per Fox News. Per l’ex presidente, su cui incombono non solo una, ma più inchieste, sarà particolarmente difficile preservare il controllo del partito repubblicano nel panorama politico, all’eventuale scopo di ricandidarsi nel 2024.

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