Nel giro del prossimo mese potremmo assistere alla fine di una guerra che dura quasi da quando sono nato, una guerra figlia di uno dei peggiori attentati terroristici della storia, una guerra che fissò nella mente di molti bambini il termine “talebano“, che nell’ignoranza giovanile mai riuscii a distinguere dal termine “terrorista”. Ma potrebbe succedere anche qualcos’altro, se i protagonisti di questo conflitto si giocheranno male le carte, potremmo vedere anche la fine di una nazione, l’Afghanistan, assieme alle sue genti così diverse.

Il 21 Marzo il segretario della difesa USA Lloyd Austin si è recato senza preavviso a Kabul per parlare col presidente afghano Ghani e gli ufficiali americani sul posto col fine di raccogliere informazioni necessarie a Biden per compiere una scelta cruciale: se rispettare o meno gli accordi di Doha di era trumpiana. Gli accordi, firmati a febbraio 2020, rappresentano un precario patto coi talebani, i quali si sarebbero dovuti impegnare a non dare asilo ad organizzazioni terroristiche e ad iniziare i negoziati col governo afghano in cambio di un ritiro completo delle truppe americane (ad oggi 2500) entro il primo maggio 2021. Un’operazione problematica.

AP Photo/Rahmat Gul via Il Post

I problemi

In primis, manca l’affidabilità dei talebani stessi. Infatti finché i negoziati non sono conclusi (e sono lungi dall’esserlo), le agenzie di intelligence USA temono che senza il supporto militare esterno i talebani si imbarcherebbero in una “reconquista” dello stato asiatico, che porterebbe all’inevitabile ricostituzione dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Inoltre gli accordi di Doha prevedono il ritiro di tutto il personale di supporto, e questo fatto preoccuperebbe lo Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction ancora di più del ritiro dei militari; infatti, il governo afghano fa affidamento su questo personale per gran parte delle sue attività base e per l’addestramento delle sue stesse truppe.

Per il momento, Biden non ha ancora dichiarato una linea strategica, ma parrebbe incline a rompere gli accordi di Doha per lanciarsi assieme agli attori regionali – Cina, Russia, Iran, Pakistan e India – in un’offensiva diplomatica dalle tempistiche incerte.

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