Byung-Chul Han. Fonte: Wikipedia

Il libro di Byung-Chul Han esce, edito da Nottetempo, il 18 febbraio di quest’anno e io, con il mio solito ritardo, mi ci fiondo. Il filosofo, sudcoreano, professore di Filosofia e Studi Culturali a Berlino, torna a far parlare di sé con un testo brevissimo (sono appena 120 pagine), ma chiaro e dai risvolti sorprendenti. 

Se dicessi che si tratta di critica sociale, all’oggi consumistico e alienato dalla sua stessa produttività, dimenticherei la parte più importante dell’opera; la ricostruzione

È facile, infatti, per un intellettuale del ventunesimo secolo, giudicare la modernità; per farlo egregiamente, ha insigni modelli, pensatori che negli anni Cinquanta già avevano capito dove saremmo andati a finire; bulimia, narcisismo, assuefazione. Questa volta invece facciamo un passo in più, tornando indietro; il filosofo propone una via. 

Ci mette davanti allo stato presente delle cose, ci spiega assai brevemente perché non vanno bene e cosa le abbia disumanizzate, rese per noi insopportabili nel corso dei secoli. Noi ascoltiamo, affascinati, questa favola antica fatta di etimologie. 

Poi ci racconta, pacatamente, il mondo che abbiamo lasciato indietro e da cui potremmo ripartire. Abbiamo perso tutti i riti, nessun elemento religioso permea ancora le nostre vite, le accompagna nelle tappe fondamentali del loro dispiegarsi. Non ci rallegriamo più in gruppo, non piangiamo più in gruppo, urliamo, facciamo silenzio. Ripetere un gesto per donargli forza, una parola per fonderci con il suo significato. Nulla di nulla, solo produzione, schietta produzione massificata. 

E invece noi di interazioni umane ci nasciamo.

Eppure poi, il mondo ci porta per un’altra strada e noi andiamo con lui, senza prestare sguardo ai compagni di viaggio. Il villaggio non esiste più, siamo tutte singole capanne nella tempesta. Ci inganniamo, molto spesso, di riuscire a ricostituire dei momenti comunitari, in cui assistere a della vera condivisione ad un livello profondo, ma di fatto: 

Le celebrazioni o i festival odierni hanno ben poco a che spartire con quel tempo elevato. Sono oggetto di un management di eventi. L’evento come forma di consumo della festa rivela una struttura temporale molto diversa, come si deduce dalla parola latina “eventus”, che significa “sbucato fuori all’improvviso”.[…] Gli eventi non creano una comunità. Essi sono manifestazioni di massa e le masse non creano una comunità. 

È la produzione forzata ad aver svuotato di significato i riti collettivi ed i miti di cui per lunghissimo tempo ci siamo nutriti e con cui siamo riusciti a sopravvivere. Dimenticando l’importanza del riposo, del raccoglimento e delle nostre radici popolari, perdiamo una parte integrante dell’essere vivi. Il fatto di esserlo insieme.

Tanto ci è mancata (o almeno così abbiamo detto) la possibilità di condividere, standoci vicini, anche sul piano fisico, da più di un anno a questa parte. Il libro non tocca questa tematica, ma ve la propongo io adesso; ad inizio pandemia, la gente batteva le mani sui balconi, metteva la musica sempre alla stessa ora. Quello era un rito. Non si faceva per qualcuno in particolare, nessuno lo aveva imposto e nessuno stava a guardare; non era- o meglio, per molti italiani non lo è stata– una performance. Era però un modo per percepirsi meno soli. Aprire la finestra e sentire due generi musicali diversissimi tra di loro e qualcuno che addirittura suonava il piano, dopo una giornata di angosce e denti stretti, per un attimo, ci faceva stare meglio. Essere sotto lo stesso cielo e prendersi un minuto per apprezzare la condivisione.

Poi è diventata una cosa tossica, una cosa politicizzata? Può essere. Ma all’inizio era solo paura esorcizzata come l’uomo fa da millenni; con il suono ed il calore umano. 

Han, pur partendo dalle origini e dando delle coordinate storiche talvolta generiche (è il messaggio che conta, non si sta facendo storiografia), è molto concreto su alcune questioni scottanti: l’uso della lingua che si fa oggi, come potremmo migliorarlo o il concetto di sessualità e di società post-sessuale.

Possiamo trovarci d’accordo con lui, oppure no, ma non possiamo negare l’acutezza di alcune sue osservazioni; su tutte la sua proposta di reincanto del mondo come unica conquista in grado di salvarci. 

(L’appuntamento precedente di Fast consiglia lo trovate qui)

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Di Valentina Farinon

22 anni, mi sono laureata in Lettere moderne e ora studio Filologia. Amo il teen drama, Kerouac, Tutti Fenomeni e Vasco Brondi. Provo a fare anche delle cose più serie, talvolta.

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