Dalla loro indipendenza ottenuta durante il XIX secolo fino alla seconda metà del Novecento, i Paesi latinoamericani videro aprirsi una nuova stagione per le loro relazioni internazionali: l’importanza di questi Stati aumentò non solo grazie al peso che essi assunsero all’interno dell’ONU, ma anche grazie al ruolo che essi giocavano in relazione alla sicurezza interna degli USA.
Nel “cortile di casa” degli statunitensi non sono mancate spinte e aiuti per favorire la creazione di regimi amici della superpotenza occidentale, ma spesso questo “amicizia” aveva come prezzo la libertà e la democrazie dei Paesi latinoamericani.
Uno dei primi Stati dell’America del Sud a diventare “amico” degli USA fu il Venezuela nel 1948: i cittadini venezuelani elessero come loro presidente Rómulo Gallegos Freire appartenete ad Azione Democratica, partito politico nazionalista, populista e socialdemocratico.

Una vita breve
Freire rimase in carica meno di un anno, in quanto il suo governo venne rovesciato da un colpo di Stato organizzato dai militari che crearono una giunta, all’interno della quale assunse sempre più centralità Marcos Pérez Jiménez che divenne de facto dittatore del Venezuela nel 1952. In seguito al golpe, nel Manifesto alla nazione Freire affermò di aver visto un membro della Missione militare degli Stati Uniti discutere con i futuri golpisti in una caserma a Caracas.
Inoltre, l’ex presidente venezuelano, in esilio a Cuba, si disse convinto del fatto che il colpo di Stato fosse stato organizzato per permettere alle compagnie petrolifere americane di mettere le mani sul petrolio venezuelano: tali compagnie riuscirono ben prima del 1948 a sottoscrivere trattati molto favorevoli con i governi venezuelani, ma videro i loro affari aumentare esponenzialmente fra il 1952 e il 1958, durante la dittatura di Pérez Jiménez, un periodo che vide anche il PIL del Venezuela aumentare a dismisura.