Dal 1924 al 1961, la Repubblica Dominicana venne governata da un regime dittatoriale capeggiato da Rafael Leónidas Trujillo, insediatosi grazie all’appoggio statunitense e con il compito di difendere gli interessi economici degli USA. 

La morte del dittatore, avvenuta in seguito ad una congiura, permise al Paese di organizzare le prime elezioni democratiche libere che si tennero nel febbraio 1963. Il vincitore fu Juan Bosch Gaviño, fondatore del Partido Rivolucionario Dominicano, un partito socialdemocratico e fautore della nuova Costituzione dominicana che venne introdotta durante la sua breve presidenza. 

La carta costituzionale da lui introdotta, orientata alla secolarizzazione del Paese e al sostegno dei ceti popolari più poveri, alienò al presidente la simpatia dei gruppi più conservatori dominicani. Gli USA, inoltre, non vedevano di buon occhio la sua ascesa al potere: Bosch non era un comunista, ma restava un leader di sinistra e gli statunitensi temevano una diffusione nell’area caraibica di ideologie che potevano essere influenzate da Mosca dopo la rivoluzione castrista del ’59. 

Il golpe

Dopo appena sette mesi di presidenza, Bosch venne deposto da un colpo di Stato organizzato dal colonnello Elías Wessin; l’ex presidente, in esilio a Puerto Rico, accusò la Missione Militare degli Stati Uniti di aver organizzato il golpe in combutta coi militari del Paese. 

Ma la storia non finì qui: due anni più tardi, a causa del malcontento popolare, scoppiò una guerra civile nel Paese che vide contrapposti i lealisti, i militari che sostenevano Wessin, e i costituzionalisti, sostenitori di Bosch che desideravano il suo ritorno; per timore che i comunisti si infiltrassero nel movimento costituzionalista, inviarono l’esercito per ristabilire la pace; successivamente, favorirono l’elezione del conservatore Joaquín Balaguer.

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