Tatuaggi vistosi, sguardi minacciosi e armi ben in vista. Si presentano così i membri della Mara Salvatrucha (MS-13), una delle organizzazioni criminali più numerose e più pericolose al mondo.
Le maras sono nate negli anni ’80 a Los Angeles per la volontà degli immigrati salvadoregni di proteggere i propri connazionali dalle gang afro-americane e messicane.
Da oltre quarant’anni i mareos sono dunque protagonisti di traffico di droghe e armi, rapine, sequestri e omicidi che interessano tutto il continente sudamericano, ma non solo.

L’aumento delle violenze
Alla fine di marzo, pur essendo all’ordine del giorno, a El Salvador le violenze hanno registrato un preoccupante aumento. Il 26 marzo, nello specifico, è stato il giorno più sanguinoso e violento nella storia del Paese dalla conclusione della guerra civile (1992).
Sulle strade del piccolo stato sudamericano, in particolare nella capitale San Salvador e nelle province di Ahuachapán e di La Libertad, sono rimasti 62 corpi, vittime di scontri durissimi tra bande rivali.
L’intervento del presidente Nayib Bukele è stato immediato e ha portato alla dichiarazione dello stato di emergenza per 30 giorni (periodo in cui lo Stato può sospendere alcune garanzie costituzionali), un provvedimento che secondo l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch implica la sospensione di una serie di diritti fondamentali e apre la strada a violazioni di diritti civili.

Un’altra misura ratificata dal presidente salvadoregno è una riforma del codice penale che prevede un inasprimento delle pene per i leader delle rivolte. Nello specifico il Parlamento ha disposto un aumento della pena da 20 a 30 anni per attività legate alla droga in cui sono coinvolti membri della MS-13.
I parlamentari hanno inoltre aumentato le pene per i minori che fanno parte delle bande criminali, portandole fino a 10 anni per chi ha più di 12 anni e fino a 20 per chi ha più di 16 anni.
Lo stesso Bukele, domenica 10 aprile, ha annunciato che nelle ultime due settimane sono stati arrestati oltre novemila membri della Mara Salvatrucha e della Calle 18, le due gang protagoniste degli scontri di fine marzo.
Effetto calamita sui giovani
A sorprendere, oltre all’efferatezza delle violenze, è l’età dei responsabili. Il mondo della criminalità organizzata rappresenta per i giovani l’unica via d’uscita da una vita in cui dominano la povertà e l’abbandono.
I ragazzi vengono lasciati soli sia dalle famiglie che dalla società, incapaci di fornire mezzi adeguati per evitare di entrare nel vicolo cieco delle pandillas.
A El Salvador sono conosciuti come esquineros (“all’angolo”), emarginati e privati della possibilità di costruirsi un futuro lontano dalla violenza. Già a 6 anni iniziano il proprio “apprendistato” e a 13, in seguito a brutali riti d’iniziazione, sono considerati dei professionisti.

Il percorso da compiere affinché i giovani non debbano più rispettare la legge del “Mata, roba, viola, y controla” (“Uccidi, ruba, violenta e controlla”) risulta dunque particolarmente difficoltoso, anche a causa dello scarso sostegno da parte del mondo della politica, che spesso stringe accordi con le maras.
Tuttavia, negli ultimi anni si è accesa una debole fiamma di speranza grazie alla nascita di alcune associazioni, come Jovenes contra la violencia, fondata da Cecilio, un ex-criminale, che hanno l’obiettivo di riscattare i ragazzi dalla strada, in particolare attraverso lo sport: “Costa meno un pallone che una bara” è l’evocativo slogan dell’associazione di Cecilio.