In un Paese come il nostro, tristemente noto per episodi di marcato gender gap, risulta difficile pensare ad una donna come Presidente della Repubblica. Nella storia dell’Italia repubblicana mai abbiamo assistito all’elezione di una donna in qualità di Capo dello Stato, né di Presidente del Consiglio.

Alcune donne nel mondo elette in qualità di Capi di Stato
Un esempio estremamente recente lo abbiamo sotto gli occhi: il 30 novembre scorso Sandra Mason diviene il primo Capo di Stato donna della neonata Repubblica di Barbados.
C’è poi Zuzana Caputova, 45 anni, giurista e avvocatessa, prima donna ad essere eletta Capo di Stato nell’Europa centro-orientale: da marzo 2019 è presidente della Slovacchia.
Nel novembre 2018 è stata la volta della Georgia, che ha eletto il suo primo presidente della repubblica donna, Salomé Zurabishvili.
Nel continente Africano, invece, l’unica donna in carica rappresentante lo stato è Sahle-Work Zewde, eletta in Etiopia nell’ottobre 2018 e prima donna alla presidenza nel Paese del Corno d’Africa.
La situazione della nostra Repubblica dal ’48 ad oggi
La nostra storia è una storia di ruoli presidenziali (e anche dirigenziali) al maschile. Dodici, dal primo gennaio del 1948 sino ad oggi. Da Enrico De Nicola, prima Capo provvisorio dello Stato, poi presidente effettivo per 5 mesi, a Sergio Mattarella, il cui incarico si concluderà il 3 febbraio 2022.
Nessuno, per diversi decenni, si è mai figurato la possibilità che fosse una donna a salire al Colle, nonostante la stagione del femminismo e della contestazione dell’Italia degli anni Settanta avesse smosso le coscienze e fatto sì che venissero compiuti passi avanti in termini di rappresentanza paritaria nei ruoli politici.
Sicuramente Nilde Iotti, prima donna presidente della Camera e prima donna alla quale un Presidente della Repubblica affidò, nell’incertezza della crisi politica del 1984, il primo incarico “esplorativo”, fece scalpore. Ma il suo sfiorare il Quirinale terminò lì. E dopo giunsero Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella.

Una donna al Quirinale? I nomi ci sono
Quest’anno, però, il toto-nomi ha coinvolto anche delle candidate e l’ipotesi “donna al Quirinale” sta assumendo vigore, anche se lentamente, grazie al nome di alcune candidate; anche se nessuna, attualmente, mette d’accordo tutte le forze politiche.
Ecco quali sono ad oggi i nomi maggiormente “quirinabili”:
Emma Bonino
Il titolo di donna più “quirinabile” spetta (e da almeno un ventennio) ad Emma Bonino. Classe 1948, oggi senatrice. Deputata alla Camera e al Parlamento europeo, nel 2006 ministra del Commercio internazionale e delle politiche europee nel governo Prodi II, poi vicepresidente del Senato dal 2008 al 2013, e ancora ministra degli Affari esteri nel governo Letta per un anno, dal 2013 al 2014. Certamente avrebbe il curriculum e le carte in regola per ricoprire questo ruolo.
Liliana Segre
La senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alle atrocità dei lager nazisti quand’era bambina, ha declinato l’invito per il Quirinale, dicendo di non avere più l’età giusta e che il compito sarebbe per lei troppo gravoso. Tuttavia, guardando i sondaggi, sarebbe stata invece molto apprezzata tra gli italiani.

Da Rosy Bindi a Elisabetta Belloni, passando per Marta Cartabia ed Elena Paciotti Tra gli altri nominativi “quirinabili” ritroviamo Rosy Bindi, ex democristiana, poi affiliata al Partito popolare italiano e infine in quota PD. Nel 2006 fu eletta ministra per le politiche per la famiglia nel governo Prodi.
Anna Finocchiaro, sessantaseienne, ministra per le Pari opportunità nel primo governo Prodi, oggi vicina più a LeU che al PD. Da sempre mantiene rapporti fitti con l’ex premier Massimo D’Alema.
Ricorre anche il nome di Roberta Pinotti, vicina politicamente al ministro e capofila di area democratica Dario Franceschini, ma non particolarmente apprezzata dal Movimento 5 Stelle.
Da destra, tornano nomi come quello della presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, e dell’ex sindaca di Milano, oggi vicepresidente della Lombardia, Letizia Moratti.
Si possono rintracciare anche i nomi di alcune donne “tecniche”, mai state parlamentari, come quello di Elisabetta Belloni: ex direttrice generale della Farnesina, sessantatreenne, posta a capo dei servizi segreti dal governo Draghi e prima donna a ricoprire un tale e delicato incarico.

Tra gli altri nomi che circolano in questi giorni, quello dell’attuale ministra della Giustizia Marta Cartabia; della giurista Lorenza Carlassare, molto gradita ai pentastellati; quello di Anna Maria Tarantola, ex presidente Rai, ex dirigente della Banca d’Italia, perfetta candidata di marca “draghiana”; e quello di Elena Paciotti: nel 1986 è stata la prima donna ad essere eletta al Consiglio Superiore della Magistratura, e prima donna ad essere eletta presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
E se fosse una donna il nuovo Presidente della Repubblica?
E se fosse una donna il nuovo Presidente della Repubblica? Sarebbe molto bello, sarebbe ora, ma soprattutto sarebbe giusto! Ogni giorno viene frantumato un nuovo tabù e le donne raggiungono i vertici del potere economico, della giustizia, della scienza, di qualunque professione. È arrivato il momento che sia una donna a raggiungere anche il culmine politico-istituzionale per eccellenza della nostra Repubblica.
E no, non si parla di eleggere una “donna per caso” senza competenze, non si parla di perbenismo sterile: non è la pretesa di una donna al Quirinale. Il punto è il valore reale unito al valore simbolico che l’elezione di una donna eserciterebbe. A parità di curriculum, eleggere una donna non solo scardinerebbe una politica “maschiocentrica” ma segnerebbe l’avvio di una nuova era anche per l’impegno femminile dentro le istituzioni.