L’inizio della Rivoluzione
Il 4 luglio negli Stati Uniti è festa nazionale: in questo giorno si ricorda la firma della Dichiarazione d’indipendenza. La Dichiarazione è un importante documento che de facto dà inizio alla rivoluzione americana, sancendo la rottura definitiva fra le tredici colonie americane e la madrepatria, la Gran Bretagna.
La redazione e la susseguente firma della Dichiarazione è un punto di arrivo cui i coloni americani arrivano dopo un processo graduale.

L’inizio delle ostilità
Tutto inizia alla fine della Guerra dei Sette Anni (1756 – 1763), quando la Gran Bretagna si rende conto di non poter più contare sulle milizie coloniali per poter difendere i territori d’oltremare. Avendo a disposizione un esercito molto numeroso, Londra decide di creare un esercito permanente nelle colonie nordamericane finanziato dalle tasse pagate dai coloni.
Per quest’ultimi la decisione della madrepatria è un colpo all’autonomia politica e finanziaria di cui le colonie godono da sempre. I coloni organizzano delle dimostrazioni di piazza, mettendo in dubbio la legittimità del Parlamento di Londra nelle questioni fiscali dell’impero coloniale, affidandosi al principio del No taxation without representation. La tensione aumenta sempre di più, in particolar modo in seguito al Massacro di Boston (1770) e al Boston Tea Party (1773), quando i coloni gettano centinaia di casse di tè provenienti dalla madrepatria nel porto della città di Boston.

Nonostante gli scontri, i coloni non vogliono staccarsi dalla Gran Bretagna: durante il Primo e il Secondo Congresso Continentale (rispettivamente 1774 e 1775) si discute di riformare l’impero, non di staccarsene. La situazione cambia quando il Congresso giustifica l’uso delle armi per l’autodifesa: re Giorgio III dichiara che le colonie si sono ribellate. Scoppia così la guerra fra colonie americane e Regno Unito.
La guerra civile e i problemi dell’indipendenza
La guerra inizialmente è una guerra civile: i coloni si riconoscono ancora nella madrepatria e circa 500 mila persone (il 20% della popolazione delle colonie) è lealista, quindi fedele alla corona inglese.
Le colonie non sono unite fra loro, ciascuna ha la propria storia e proprie istituzioni, e al loro interno si combatte anche politicamente fra whig, favorevoli alla causa delle colonie, e tory, sostenitori della Gran Bretagna. Inoltre, il Congresso Continentale non è un vero e proprio organo esecutivo e le leggi che esso approva non hanno potere diretto sulla popolazione.
Sono in pochi a volere l’indipendenza, pochi patriots, osteggiati da coloro che desiderano una riconciliazione con la corona inglese e da coloro che temono che l’indipendenza possa favorire una forma di governo democratica. La democrazia è concepita, in quest’epoca, come qualcosa di negativo, ovvero l’inclusione del popolo basso, ignorante e facilmente manipolabile alla faccende di stato.
Nonostante siano pochi, i patriots sono animati da forti sentimenti che tendono verso la libertà (di cui ognuno ha la propria interpretazione), sono più efficienti nella propaganda anti-inglese e, dal 1775, sono appoggiati dagli schiavisti del sud. Dalla Gran Bretagna provengono inviti agli schiavi ad unirsi nella lotta contro i ribelli in cambio della libertà, un atto di tiranni per gli schiavisti del sud che da quel momento spingono per una rottura totale con Londra.

La redazione del documento
In quello stesso anno il Congresso Continentale invita le colonie a creare nuovi governi che assicurino la piena e libera rappresentanza del popolo. Con un effetto domino, le colonie iniziano a creare nuovi governi, in alcuni casi specificando che esse non volevano con quel gesto contrapporsi alla madrepatria.
E’ la Virginia a compiere il primo passo, istruendo i suoi delegati di proporre al Congresso Continentale di dichiarare le colonie libere e indipendenti. La proposta viene fatta ma è osteggiata, in quanto per alcuni membri del Congresso il momento non è ancora opportuno. Nonostante la resistenza espressa, la proposta del delegato virginiano viene accettata e viene formata una commissione per redigere una dichiarazione d’indipendenza. Nel frattempo viene proposto anche un nuovo nome per il futuro stato che sarebbe nato: non più Colonie Unite, ma Stati Uniti d’America.
Il principale redattore del documento è Thomas Jefferson, futuro terzo presidente degli Stati Uniti: il testo viene discusso, emendato e approvato dal Congresso il 4 luglio 1776.

Nonostante la grande importanza che viene data al secondo paragrafo del documento, riguardante i diritti naturali degli uomini, la vera rivoluzione politica è contenuta nel terzo paragrafo. In esso, si afferma che le colonie non sono più tali, ma sono stati indipendenti che possono stipulare patti e accordi con altri stati. È in questo momento che la guerra da civile diviene internazionale: Francia e Spagna si alleano ai neonati tredici stati indipendenti contro la Gran Bretagna. Il conflitto si conclude nel 1783 con l’ufficiale riconoscimento dell’indipendenza da parte dell’ex madrepatria.
L’anima dell’Unione
Se dal punto di vista giuridico gli Stati Uniti nascono con il Trattato di Parigi e con la costituzione federale (1787), l’anima del neonato stato americano nasce con la Dichiarazione d’indipendenza. Non è un caso che decenni dopo, durante la Guerra di Secessione, il presidente dell’Unione Abraham Lincoln prenda in considerazione proprio la Dichiarazione d’indipendenza per giustificare la guerra contro i sudisti e l’intenzione di abolire la schiavitù nell’Unione in nome dei diritti naturali di cui tutti gli uomini dispongono.