“Strappare lungo i bordi” è il prodotto che meglio riesce ad adattarsi ai canonici tempi brevi delle serie tv animate. Ma meglio di ogni altro cartoon, riesce ad entrare prepotentemente nell’intimità dello spettatore già nei primi 15 minuti di girato.

L’incapacità di seguire le linee tratteggiate dalla vita

Serie Tv Netflix, Zerocalcare: Strappare lungo i bordi

La prima sensazione è quella di stare ad assistere alla messa in atto di un libro di memorie. L’intera stagione di sei episodi viene raccontata per intero da Zero, un illustratore pieno di angoscia e coscienza. La vita precaria complessa, la preoccupazione di trovare un lavoro, stare al passo con gli amici, fare impressioni sbagliate, ossessionare e ritornare al tempo in cui a queste cose non ci si doveva preoccupare e alla ricerca del senso della vita per andare avanti. La mole di paturnie che si manifesta sotto forma di un gigantesco armadillo arancione (interpretato dalla potente voce di Valerio Mastandrea), oscillante tra il loop delle proprie insicurezze e il bisogno di tirarlo fuori sulla sua ossessione per se stesso. Un continuo enjambement narrativo tra passato e presente diviso in sei capitoli. Una storia che rimbalza tra osservazioni personali, aneddoti della scuola elementare e le imprese in corso tra lui e tre dei suoi amici più intimi.

Ritagli temporali

Serie Tv Netflix, Zerocalcare: Strappare lungo i bordi

I primi due terzi della stagione avanzano come un treno ad alta velocità, sfruttando fortemente il mezzo. Il tutto non si svolge in tempo reale ma viene intervallato da alcuni ritagli immaginari. Un complesso vortice organico che ribolle sotto la superficie, mentre Zero si muove in maniera impacciata all’interno del suo appartamento e si fa strada per le vie di Roma. Nessun dettaglio è troppo piccolo per avventurarsi in una cascata di ipotesi, poiché Zero collega messaggi di testo nella sua personale Caverna di Platone, immagina il disordine nel suo salotto come fazioni in guerra e si chiede se potrebbe essere più utile alla società di un paesaggio infernale post-apocalittico.

Tratto distintivo

Serie Tv Netflix, Zerocalcare: Strappare lungo i bordi

Zerocalcare ha scritto e diretto la serie, adattandola alle sue graphic novel. All’interno troviamo una specie di stand-up nella quale il protagonista parla direttamente con il pubblico rompendo la proverbiale quarta parete. Mentre Zero inizia a spostare l’attenzione da se stesso (anche se leggermente), le dinamiche perdono il piglio dinamico per lasciare spazio ad una lenta decelerazione. Alcuni potrebbero vedere la combinazione del solipsismo di Zero e le molteplici persone che cercano di tirarlo fuori da esso come le due chiavi di lettura della serie. Indipendentemente da ciò, c’è ancora un’incredibile quantità di energia in quella consapevolezza di sé. Non c’è un motivo che lascia trasparire ad una fine o ad un proseguo, ma le due vie sono percorribili allo stesso modo, dato che l’opera non è in debito con alcun elemento temporale o spaziale.

Qual è il messaggio della serie?

Non c’è una vera lezione intorno a “Strappare lungo i bordi”. Zero, alla fine, realizza che non servono grandi storie e grandi insegnamenti da assorbire per vedere oltre le proprie esperienze. La scrittura di Michele Rech risulta briosa e veloce proprio come quella di un fumetto, ogni personaggio, quasi tutti interpretati da Zerocalcare stesso, parla proprio come ci aspetteremmo e anche il coraggio in alcune scelte lessicali, difficili da ritrovare in altre serie tv italiane, dà un tono tutto suo alle quasi due ore di girato da vivere in un’unica corsa senza soste. Il racconto in sé tocca le corde del cuore, delicato e che raccoglie insieme turbamenti personali e fatiche generazionali. L’intera puntata finale meriterebbe un discorso a parte che può essere sintetizzato solo così: il più bel pugno nello stomaco mai ricevuto. Non serve essere un quarantenne romano per calarsi ed immedesimarsi nel racconto, perché i tòpoi che Zerocalcare utilizza sono universali. L’inadeguatezza, la paura di aver buttato anni di vita, le idiosincrasie del protagonista sono anche le nostre. Michele Rech, al contrario di noi (almeno di me), esprime tutto questo in un modo molto più lucido e sincero rispetto a quanto non avremmo saputo fare da soli. A livello di “matita”, era dai tempi di Ortolani che non provavo la sensazione di prendere un diretto in faccia nel leggere/ guardare una graphic novel.

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *