Quando ho letto “assemblee estratte a sorte” sulla locandina dell’incontro a cui ho avuto l’onore di partecipare ieri sera, ammetto di aver avuto un colpo al cuore. Non avendone mai sentito parlare in precedenza, all’apparenza mi era sembrato un concetto in pieno stile 5stelle riguardante i deliri della democrazia diretta. La mia curiosità mi ha spinto ad approfondire.

Gli ospiti sono stati illustri: Marco Cappato, Mario Staderini e il professor Rodolfo Lewanski. Come si direbbe in gergo meno formale, non proprio gli ultimi degli stupidi ecco. Il punto centrale della discussione era: possono le assemblee estratte a sorte essere parte integrante del futuro della democrazia?

(Foto da Vita.it)

L’assunto su cui si fonda il discorso è l’evidenza dei limiti della democrazia elettorale, cioè fondata (quasi) esclusivamente sulla politica istituzionale (“di Palazzo”) svolta da rappresentanti di partito eletti dalla popolazione. Questa modalità, tuttavia, comporta delle dinamiche politiche volte a ottenere consenso per il proprio partito e minando quello avversario, e quest’approccio si riflette inevitabilmente sulla qualità delle policies, delle politiche pubbliche. L’ostentato e inamovibile attaccamento ideologico della maggioranza di turno comporta la bocciatura di qualsivoglia proposta provenga dall’opposizione, comprese quelle estremamente valide, pur di non concedere nemmeno un briciolo di gloria, in quanto tale riconoscimento porterebbe voti a quella sezione parlamentare.

Ecco qui che la politica non è più dialettica, ma si trasforma in guerra. Non avversari politici, ma nemici che si accusano vicendevolmente di eversione. Quando il dialogo politico viene meno, la demagogia – o, per usare un termine più in voga, il populismo – prende il sopravvento. Si parla quindi di azioni indirizzate esclusivamente ad un’ottica elettorale, misure di breve termine facilmente rimovibili da successivi governi di segno opposto, dinamica facilmente riscontrabile nel panorama italiano caratterizzato da continui appuntamenti alle urne. Infatti, prendere decisioni, soprattutto se definite “impopolari”, significa metterci la faccia, e ciò ha riscontro in termini di voto.

(Foto da Opinio Iuris)

La fragilità del sistema democratico risiede in questo punto, nell’assenza di lungimiranza causata da un bias ideologico, denotando una superficialità nella risoluzione dei grandi problemi che richiedono, per natura, un approccio di lungo termine. Altre questioni, invece, vengono proprio cancellate dall’agenda politica poiché “scomode”, divisive, pensando quindi di nascondere la polvere sotto il tappeto. Non credo sia necessario evidenziare le cause di questi ultimi punti.

Inoltre, vi è un’assenza di ascolto della popolazione. La distanza con le istituzioni è sempre più grande, e ciò è evidente anche in seguito al continuo ignorare le proposte di leggi e di referendum abrogativi provenienti dal basso, validati dalle 500.000 firme necessarie. Oltretutto, è assurdo come non esista alcun metodo validabile di raccolta firme online.

Quindi, per ovviare il problema della logica consensuale-elettorale che caratterizza la politica odierna e ridurre l’abisso tra cittadini e istituzioni, la proposta è questa: costituire assemblee tematiche i cui partecipanti sono un campione rappresentativo della popolazione, i quali – affiancati da un pool di esperti del settore tematico – hanno il compito di elaborare e infine approvare risoluzioni che verranno presentate poi alle istituzioni. Stiamo parlando di democrazia deliberativa, concetto fondato sull’assunto del “conoscere per deliberare”, il quale verrebbe messo pienamente in atto – sul lato del “conoscere” – grazie al sostegno degli esperti. Il punto di forza è il seguente: i partecipanti non devono rendere conto delle proprie azioni a nessuno. L’assenza della logica elettorale porta ad agire per il bene comune, e non per un mero fine consensuale.

(Foto da The Submarine)

Lo svolgimento di tali assemblee è piuttosto semplice. I portatori di conoscenze specifiche si occupano in primis di educare la popolazione campionaria riguardo al tema che si andrà ad affrontare, come ad esempio la tutela dell’ambiente, e avranno quindi un ruolo da moderatori/relatori. I partecipanti, poi, avranno il compito nelle settimane successive (si parla di periodi lunghi all’incirca due mesi) di lavorare ad un piano per la risoluzione di quel dato problema, sempre venendo affiancati dagli esperti. Al termine della fase lavorativa, ci sarà quella deliberativa, durante la quale verrà votato il testo finale da proporre alle istituzioni. Questa risoluzione, se il meccanismo delle assemblee diventa parte integrante del nostro ordinamento, avrà una valenza maggiore poiché esito di un processo completamente democratico, e il Parlamento sarà obbligato a prenderlo seriamente in considerazione. Questo non per una questione legale, ma per un motivo di legittimazione democratica: se gli esiti di un processo democratico e riconosciuto vengono marginalizzati, l’integrità di uno Stato che si professa liberale viene meno.

(Foto da comitatoritornoalfuturo.it)

Dubbi potrebbero sorgere in merito all’imparzialità dei relatori. Presupponendo che l’imparzialità totale è, a mio dire, irraggiungibile, si può dire che la scienza e, più in generale, la conoscenza aspirano a raggiungere un regime di oggettività. È noto come in ogni settore esistano i “negazionisti”, quelli che si astraggono dall’opinione settoriale generale (dinamica emersa impetuosamente durante la pandemia). Tuttavia, questi soggetti supportano le loro tesi con argomentazioni faziose, parziali e talvolta false, quindi ritengo sia impossibile ritenerli scienziati in quanto viene meno proprio l’essenza, vale a dire il metodo scientifico. Ciò non vuol dire che gli esperti-relatori avranno una voce corale, unica. Infatti, essi condividono l’assunto della gravità del problema in questione, ma fanno riferimento a diverse correnti di pensiero che caratterizzano il loro metodo d’approccio per raggiungere l’obiettivo comune, vale a dire la risoluzione del problema. Dunque, vi è pure una pluralità di opinioni da parte dei relatori che consente un’informazione più completa possibile.

Un’altra obiezione spesso sollevata è quella dell’imparzialità pure dei partecipanti stessi. Infatti, noi umani siamo tutti portatori di idee e convinzioni. Tuttavia, ritengo che in questa considerazione venga escluso un concetto fondamentale, vale a dire quello del contesto. Un ambiente propositivo segnato da informazioni complete e corrette quale è l’assemblea sono convinto riesca ad astrarre i partecipanti dal proprio bias ideologico, riuscendo quindi a produrre un elaborato finale che sia serio ed efficace.

Metodi di assemblee estratte a caso sono già una realtà nel mondo occidentale, come ad esempio in Belgio, in Irlanda e in Francia. Applicarli in un contesto malato quale è quello italiano potrebbe aiutare a ricucire alcune gravi ferite del nostro Paese. Queste assemblee sono il futuro della democrazia? Non ne ho idea. Possono contribuire arginamento del populismo? Altamente probabile.

(Foto di copertina da The Submarine)

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Di Andrea Miniutti

Sono Andrea Miniutti, ho 21 anni e sono laureato in Studi Internazionali presso l’Università di Trento. Sono il direttore e co-fondatorer di Fast, mi occupo di politica (principalmente italiana) e temi inerenti a mafia e stragismo. Sono un grandissimo polemico.

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