Nel corso del mese scorso abbiamo osservato sotto diversi punti di vista l’evoluzione del movimento Hip-Hop, cercando di capire come si siano formate le differenti peculiarità locali – specialmente quelle Newyorkesi e quelle di Los Angeles – che hanno portato ai due epicentri culturali della East e della West Coast. Il clima che si viene a formare è simile a quello di un derby, con due squadre – le due coste appunto – che nonostante condividano lo stesso palco nazionale competono per il dominio non solo del mercato ma del movimento nel suo insieme. Essere rispettati nel rap-game significava essere rispettati da tutte le comunità nere degli USA

All’inizio degli anni ‘90, il dominio del mercato è indubbiamente in mano alla costa occidentale, portata alla ribalta commerciale grazie ad MC Hammer ma soprattutto alla ribalta sociale e street grazie agli N.W.A. (di entrambi abbiamo parlato nell’articolo scorso, che trovate qui). Il sound che Dr. Dre portò nel suo gruppo divenne caratteristico del West tanto che tutta la variante chiamata West-coast rap, più nello specifico G-Funk (dove la “G” sta per gangsta, termine introdotto sempre nella scorsa puntata), era prodotta da lui o con ispirazioni prese proprio da Dre. 

In questo articolo avviamo parlato del rap nella West Coast (link dell’articolo)

Dallo scioglimento del gruppo – prima con il brusco addio di Ice Cube nel 1989, poi quello di Dre nel 1991 – gli artisti emergenti della California e specialmente della Città degli Angeli si trovavano in bivio tra due stili, quello appunto di Ice Cube, più “militante” e violento, crudo, e quello di Dre, top player delle strumentali, capace di creare tramite esse il mood ad hoc per ogni artista ed ogni album. 

Ne darà prova nel suo primo album da solista, The Chronic, pubblicato nel 1992 per Death Row Records: tenete ben a mente il nome di questa etichetta. The Chronic si presenta come il biglietto da visita dell’allora 27enne Dre ma che dimostra una maturità artistica e conoscenza dell’industria musicale che lo rende un nome importante ancora oggi. The Doc indossa le vesti del talent scout, in quanto ogni canzone è arricchita da almeno un featuring che permette ai più giovani della scena occidentale di mettersi in mostra sull’album che sarebbe stato il più atteso in tutta la costa e che sarebbe diventato un “instant classic”; tra i tanti, troviamo nomi come Kurupt, Nate Dogg, Warren G, ma soprattutto il giovanissimo Snoop Doggy Dogg, presente in quasi ogni traccia, preso sotto l’ala del dottore e pronto al salto di qualità con il proprio album che sarebbe uscito l’anno seguente, Doggystyle (1993, sempre per Death Row). 

Dre (destra) con un giovanissimo Snoop Dogg (sinistra), foto da GettyImages

The Chronic ebbe una risonanza tale anche perché mise in chiaro un concetto principale: il rap non è più solo quello della critica sociale. Lo scopo è far divertire, ballare ed intrattenere. Dre aveva partecipato da protagonista al progetto degli N.W.A. con il quale aveva già portato alla discussione pubblica le ingiustizie a cui la comunità di Compton era sottoposta ogni giorno; aveva oramai già raggiunto uno status di leggenda e nel suo primo album da solista decide di lasciare le controversie sociali per dedicarsi a lezioni di stile e temi più autocelebrativi, ostentazione della ricchezza e altri concetti che oggi spesso vengono criticati al genere rap ma che allora erano totalmente giustificati. 

Il rap non è più solo quello della critica sociale: lo scopo è far divertire, ballare ed intrattenere.

Vi è un esercizio di pensiero critico fondamentale che il rap di questo tipo ci presenta, che avevo messo in chiaro nella puntata introduttiva citando un chiarissimo passo della canzone «Bruce Willis» di Marracash: «Dire che è solo autocelebrazione / è come guardare una natura morta e dire che è soltanto frutta». La lezione di stile e l’innovazione portata da The Chronic (in quella che noi oggi chiamiamo Old School, ma che allora era ovviamente la nuova wave) non è spicciola autocelebrazione ma dimostrazione che ogni persona può arrivare al top, e la dimostrazione è proprio il fatto che partendo da Compton e facendosi strada nel sovranismo bianco americano ci siano riusciti diversi artisti.

(Foto da BusinessInsider)

E a New York? 

La patria del rap viveva un periodo abbastanza buio da quando la costa occidentale era riuscita ad arrivare alle orecchie di tutti gli americani, se non con gli N.W.A. almeno con MC Hammer. I punti più alti da ricordare nella costa orientale sono segnati dai Public Enemy (già citati negli articoli passati per i loro testi di denuncia sociale) e dal loro album «Fear of a Black Planet» (1990) che divenne l’unico faro rimasto a guidare le nuove leve dell’Est. I successi commerciali dei cugini d’occidente alimentano l’odio tra le due coste, risalente già alle prime pubblicazioni degli N.W.A.: in un’intervista, Ice Cube disse che nella data a New York del loro tour il gruppo fu fischiato. Se inizialmente la costa occidentale portava rispetto e ammirazione nei confronti della culla del rap, con l’astio dimostrato la West Coast si rende conto di poter tranquillamente sostenere un confronto ed una «guerra d’indipendenza» considerando che i numeri danno l’occidente vincitore

Quindi, nella scena newyorkese gli unici a trovare un posto nelle classifiche nei primi anni ’90 sono i Public Enemy mentre alcuni artisti relativamente underground che si rifanno al loro stile militante, come i De La Soul, hanno un pubblico quasi esclusivamente cittadino. L’est tornerà a far parlare di sé tra gli anni 94-95, con l’introduzione del Wu-Tang-Clan, dei Mobb Deep e dei giovanissimi Nas e Jay-Z, con producer del calibro di Dj Premier, forse l’unico ad est in grado di tenere testa a Dr. Dre. 

Nas e Jay-z (foto da Highsnobiety)

Non ho citato apposta i due nomi più caldi del decennio, Tupac e The Notorious BIG, ai quali dedicherò tutta la prossima puntata. Dato che la faida tra East e West coast è il punto più importante del genere probabilmente fino ad oggi, considerate le vite coinvolte e sacrificate inutilmente per una causa ideologica ridicola, ho voluto spenderci diversi episodi a mettere i paletti più importanti anche a costo di essermi ripetuto più volte. Come sempre, ci sentiamo la prossima settimana, con il beef più famoso della storia dell’Hip-Hop. 

(Foto di copertina da Rolling Stone)

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *