1992 è una serie tv nata da un’idea di Stefano Accorsi, in cui lo stesso Accorsi interpreta il protagonista, un valido motivo per non vederla diranno gli haters. Effettivamente le critiche su questo prodotto Sky uscito ormai 7 anni fa non si sono risparmiate e per amor di verità c’è da ammettere che la maggior parte di queste critiche non era infondata.

In molti hanno parlato di un’occasione sprecata o per lo meno non sfruttata del tutto. Il potenziale era enorme, gli scandali sono materia vincente al cinema e anche in tv, il cast prometteva bene, mi perdoneranno gli odiatori di Accorsi e della sua dizione impostata; ma soprattutto Tangentopoli non era mai stata raccontata compiutamente al cinema o in tv.  

(Credits: Ilcartello)

I personaggi stereotipati

Sperando di non accorgermi che sono troppe, provo ad elencare le accuse principali. La prima: i personaggi sono stereotipati. Vero. Si parte con il rampante pubblicitario Leonardo Notte: bello, affascinante, ricco e pieno di donne, guarda caso proprio interpretato dal nostro buon Accorsi, che, piaccia o meno, riesce però a creare un personaggio che ben rappresenta i prodromi di quello che sarà il berlusconismo, la malattia senile del neoliberismo (non mi ricordo dove l’ho letta questa, se sotto un portico, in un bagno pubblico o magari in un libro vero).

Poi c’è l’aspirante soubrette bellissima e triste, che pur di arrivare a Domenica In è disposta a vendersi a chiunque sia necessario: Veronica Castello, cioè Miriam Leone, che è tutto sommato una brava attrice checché se ne dica delle ex Miss Italia che si inventano attrici (con buona pace delle varie Anna Valle, Martina Stella, Martina Colombari e via dicendo). La ballerina che va a letto con i produttori televisivi per arrivare è effettivamente un cliché, ma è anche più semplicemente una faccia di quel mondo dove l’aspirazione massima era fare tv.

Ce n’è voluto di tempo per capire che quella rappresentazione del femminile faceva schifo, che la tv generalista proponeva una mercificazione oscena spacciandola per autodeterminazione e frizzantezza giovanile, che le varie letterine, veline eccetera non si potevano autodeterminare per niente, eppure quella era la situazione.

Era normale per una bambina vedere la tv e pensare “da grande voglio fare quello”; nonostante ci siano ancora cose di cui potersi lamentare, un pochino forse siamo rinsaviti e vedere quella mercificazione spudorata oggi ci turba. Forse dobbiamo ringraziare qualcuno se le bambine di oggi possono permettersi di avere altre aspirazioni ed è a proposito di questo che il personaggio interpretato d Miriam Leone fa riflettere.

(Credits: Cinematographe)

Continuando con la sfilza delle figurine c’è poi Bibi Mainaghi, interpretata da una misconosciuta (allora come adesso, ha forse fatto un film con Verdone ma poco altro) Tea Falco che non si è capito se parli così perché crede veramente che le milanesi viziate figlie di papà parlino così, se lo faccia per dare fastidio ad Accorsi e alla sua limpida dizione oppure se magari ha qualche problema all’apparato fonatorio. Fatto sta che non si capisce un nulla di quello che dice, a questo si aggiunge il fatto che il personaggio è parecchio banale, la classica ragazzina ricca e viziata che va in discoteca, si ubriaca, tira di coca e si porta a casa il primo che trova, così, per spirito di ribellione.

Poi c’è un ex militare allo sbaraglio che non sa cosa fare della sua vita e quasi per caso si ritrova in Parlamento: Pietro Bosco, interpretato da Guido Caprino (il commissario Manara per i nostalgici delle fiction Rai), e non si capisce perché abbiano messo un siciliano a fare il polentone che urla “Roma ladrona” e sventola un cappio in Parlamento ma c’è da ammettere che lo fa piuttosto bene.

Pietro Bosco è infatti uno dei personaggi più interessanti e meglio riusciti della serie, descrive la nascita di un certo tipo di populismo in canottiera a noi tutti oggi molto noto. La sua è la storia di un “uomo qualunque”, di una persona che non trova il suo posto nel mondo, che si lascia sedurre dalle idee leghiste degli albori, risposte semplici a problemi complessi sempre esistiti e però mai affrontati (la vecchia, cara e giolittiana questione meridionale). Ma non solo, è anche un personaggio complesso, dietro la scontrosità e l’intolleranza si nasconde una fragilità profonda dovuta a vicende famigliari e relazionali per niente rosee, che gli sceneggiatori volessero suggerire che i simpatizzanti leghisti abbiano un retroterra famigliare e affettivo disastrato? Chi può dirlo.

Poi Di Pietro, interpretato da un bravissimo Antonio Gerardi, bravissimo perché è effettivamente un bravo attore però come ha fatto notare qualcuno: un Di Pietro dalla voce profonda, dal piglio deciso e una perfetta conoscenza della sintassi non è un Di Pietro che convince. Se poi ci aggiungiamo il fatto che questo personaggio è quasi bello o comunque abbastanza fascinoso, beh allora non ci siamo proprio.

E per finire c’è anche un poliziotto con l’AIDS che dici caspita ma che scelta illuminata, poi però si scopre che se l’è presa per un errore medico durante una trasfusione di sangue infetto, cosa che non manca di sottolineare lo stesso personaggio in più occasioni, sia mai che un poliziotto sia “frocio” o “tossico”.

(Credits: Esquire)

Troppe feste e brillantini

Poi la serie è stata accusata di spettacolarizzare eccessivamente quegli anni, di marcare troppo l’aspetto godereccio e sopra le righe, ma d’altra parte qualcuno la chiamava “Milano da bere” e un politico scrisse persino una guida sulle migliori discoteche italiane. Insomma non mi sembra poi questa grande esagerazione, il Paese di musichette mentre fuori c’è la morte è pur sempre il nostro. Certo la serie tratta anche di una vicenda giudiziaria ma si vedono più feste, ville e scopate che non aule di tribunale, però non è mica Un giorno in pretura, bisognerà pur attirare lo spettatore in qualche modo, si tratta comunque di un prodotto televisivo.

La madeleine del Millennial medio

Ho letto pareri entusiasti di Millennials che sì, ammettevano che non era la serie del secolo e certo non era Gomorra, ma cosa vuoi un momento amarcord non si nega a nessuno. Quello è il loro tempo perduto, quando non c’erano i cellulari, si ascoltavano gli Oasis e si guardava Ambra a Non è la Rai, quando non si erano ancora accorti che la generazione precedente li stava rovinando e che non ci sarebbe stato un futuro. Quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole.

(Credits: CineFacts)

Ma ai più giovani, a noi ventenni, che non c’eravamo, che questa storia la conosciamo sommariamente e non certo grazie ai libri di scuola, questa serie può servire a qualcosa? Premettendo che “servire” è qua inteso non in senso pedagogico, utilitaristico o morale, che la favola del cinema o della letteratura “che devono insegnare” è, appunto, una favola; premesso dunque che servire per me significa che può in qualche modo anche vago stimolare una riflessione e non essere tempo perso beh allora se lo intendiamo così io credo di sì.

Una volta un Millennial mi disse (e poi non presi l’aereo per un anno ma perché era scoppiata una pandemia mondiale non per altro) che la mia generazione non sa che è esistito qualcosa prima di noi. Ci ho pensato e forse un po’ è vero, rendersi conto che prima di noi c’è stato qualcosa di diverso non è una cosa scontata, capire che se le generazioni prima della nostra odiano la politica e tutti politici più o meno indiscriminatamente non è solo e sempre perché sono degli ottusi e disillusi inaciditi dal tempo, può servire. Rendersi conto che il populismo urlante e quello in doppio petto sono due facce della stessa medaglia, forse ci può servire. E poi non lo so, vuoi vedere che forse Stefano Accorsi ha fatto anche cose buone?

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