Lo sport femminile è in aumento ed anche l’attenzione che il pubblico gli riserva, se facciamo il confronto tra oggigiorno e dieci anni fa.
Una dimostrazione è stata il Campionato del Mondo di calcio femminile (Francia, 2019), che ha tenuto incollati alla televisione circa un miliardo di telespettatori, secondo la FIFA.
Ma se escludiamo le grandi competizioni internazionali (Campionati del Mondo e Olimpiadi), dove le donne vengono presentate almeno quando vincono delle medaglie, la percentuale del tempo, dello spazio o degli articoli nelle pagine sportive o nei programmi è inferiore al 10%.
La scarsa rilevanza data dai media agli sport femminili si ripercuote anche sulla “sopravvivenza” delle squadre, costrette a commercializzare le proprie atlete per garantire loro la possibilità di lavorare con lo sport al pari dei colleghi uomini.
Le atlete, come gli atleti, devono affrontare allenamenti duri quotidiani per restare ad alti livelli, ma devono avere i mezzi per poterlo fare. Alcuni corpi dello Stato (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) danno l’opportunità a ragazze e ragazzi di molte discipline (quali ciclismo, nuoto, atletica…) di allenarsi e di gareggiare. Un escamotage che risolve, almeno in parte, il problema degli atleti di discipline individuali.
Ma negli sport femminili di squadra (in particolare in calcio, basket e pallavolo) si continua a vivere nel limbo di un allenamento richiesto a tempo pieno e la retribuzione di stipendi camuffati da rimborsi spese, senza tutele e senza garanzie.
Solo da poco si sono ottenute delle tutele legislative per le atlete in Italia: possono essere considerate professioniste e non più sportive a livello agonistico. Perché sì, fino a pochi mesi fa, le atlete donne che siamo abituati a tifare non erano considerate delle professioniste e, di conseguenza, i diritti e le tutele loro riservate non avevano nulla a che vedere con quelle dei rispettivi colleghi.
Un importante passo verso l’uguaglianza di genere nel mondo dello sport professionale, dove il divario tra uomini e donne però è ancora molto ampio.
Sarebbe opportuno, intanto, cominciare a dare più spazio, mediatico e giornalistico, alle donne nello sport, raccontandole come atlete professioniste, proprio perché hanno deciso di vivere come tali ed è giusto che venga riconosciuto.
Se siamo convinti che lo sport non conosca barriere, tanto meno quelle di genere, dimostriamolo.
(Foto di copertina da Rivistaundici.com)