Una persona, una nazione.
Nasce a Nagato il 21 settembre 1954 in una famiglia che ha la politica nel proprio DNA; il premier più longevo della storia giapponese, infatti, è solo l’ultimo di una “dinastia” di politici: il nonno materno Nobusuke fu primo ministro dal 1957 al 1960; il prozio Eisaku Sato, anch’egli premier, deteneva prima di Shinzo lo scettro di più longevo leader politico dell’impero del Sol Levante, avendo guidato il Paese dal 1964 al 1972; infine il padre Shintaro, il quale fu ministro degli esteri dal 1982 al 1986. Già da giovane Shinzo ricevette un lascito importante dai propri parenti, che in parte portò avanti, ma che – possiamo affermare, col senno di poi – non pesò eccessivamente sul leader del partito più importante del Giappone.

Figura molto rispettata nell’arcipelago nipponico e tuttavia poco gradita dai dirigenti del partito, riuscì a riportare il Paese in una posizione di rilievo a livello regionale prima, globale poi.
Analizziamo ora le tante vittorie e le altrettante sconfitte della sua longeva carriera politica, a partire dal piano diplomatico; Abe può contare una serie di vittorie che potrebbero far impallidire un “re della diplomazia” come Otto Von Bismarck. Nei suoi più di dieci anni come leader della terza economia mondiale, il «secondo imperatore» riuscì a porre il proprio Paese al centro del multilateralismo internazionale: lo dimostrano i suoi oltre 80 viaggi all’estero conditi dalla visita di più di 100 nazioni diverse, i suoi innumerevoli trattati economici con le nazioni vicine, il QUAD (tranquilli, lo spieghiamo qua sotto), la normalizzazione dei rapporti con il colosso cinese e lo staccamento politico sempre più evidente dagli Stati Uniti, riuscendo però a mantenere dei rapporti stabili con l’imprevedibile presidente Trump.
Soffermiamoci su due di questi importanti traguardi: il QUAD e la sempre più evidente autonomia nei confronti degli USA, l’uno conseguenza dell’altro.
Il QUAD (Quadrilater Security Dialogue) è un trattato di tipo difensivo firmato dalle 4 principali potenze dell’Indo-Pacifico (Giappone, India, USA, Australia) con l’obiettivo specifico di contenere la sempre più prepotente Cina; un trattato nato proprio dall’iniziativa dell’uscente primo ministro nipponico che ha messo la Cina in una posizione molto delicata nei mari asiatici, fondamentali per l’export cinese e di conseguenza per l’economia stessa. Un traguardo molto importante, ma che se preso da solo vale ben poco. Infatti, la vittoria che lo legherà alla storia della politica giapponese è l’allontanamento da Washington e la conquista di un grado di indipendenza politica ed economica molto ampio rispetto al passato: risultati che non devono essere completamente attribuiti al Giappone, data la politica isolazionista attuata da Donald Trump, ma che offre al Paese stesso un’opportunità irrinunciabile per riproporsi come possibile figura leader nella regione del Sud-Est asiatico alternativamente alla Cina.

Ma le vittorie sono sempre accompagnate da alcune sconfitte: la più rilevante è senza dubbio il pessimo rapporto con i vicini coreani (sia del sud che del nord). Sconfitta che non va solo imputata alle rare visite simboliche svolte durante i propri mandati in luoghi molto delicati per il popolo d’oltremare, ma anche alla sanguinosa storia che le accompagna. Negli ultimi anni in Corea del Sud i temi di attrito storico sono tornati a galla, e il popolo non ha ancora perdonato i vicini nipponici per i crimini di guerra perpetrati durante l’occupazione nella prima metà del ‘900.
Passiamo ora alle politiche nazionali, partendo dalla nota questione della crisi demografica. Il Paese del Sol Levante ha la percentuale più alta di persone over 65 nel mondo, con stime del 2016 attorno 30% della popolazione. Diversi sono stati i tentativi del governo di rinfoltire le generazioni più giovani, ma senza grande successo. L’arcipelago Nipponico, da sempre molto attenta alla propria eredità genetica, vanta una delle “purezze” più alte del mondo da questo punto di vista, portandoli quindi a guardare con diffidenza gli stranieri: caso eclatante sono stati i Nippo-brasiliani di seconda e terza generazione, i quali sono stati reinseriti nella terra natia dopo le grandi migrazioni di inizio ‘900 verso il Paese Sud-Americano. Ritornati nella patria dei propri antenati, hanno subito diverse forme di razzismo e ghettizzazione indirette così forti che hanno spinto la maggior parte di loro a voler ritornare in Brasile.
Economicamente parlando il Giappone di Abe ha avuto un andamento oscillante. Formalmente. il Paese nipponico è la terza forza economica del pianeta dietro alla ruggente Cina e all’onnipotente ed onnipresente Paese a stelle e strisce; al suo interno, però, il sistema nipponico nasconde diverse crepe. Una società austera, legata al passato e sempre tendente alla perfezione, caratteristiche che a prima vista possono essere percepite come positive ma che con uno sguardo più critico si rivelano essere la fonte di diverse problematiche. Dei parametri così opprimenti sono all’origine del forte stress che affligge studenti e lavoratori giapponesi, sempre osservati, sempre giudicati, obbligati moralmente a lavorare oltre l’orario convenzionale di lavoro sacrificandosi per un bene superiore: situazioni sociali come questa rovinano dall’interno la comunità, situazioni che stanno acquisendo la giusta importanza nel dibattito pubblico e che dovranno essere affrontate dalle alte sfere politiche.

L’ultimo punto che lascia diverse ombre sull’operato dell’esecutivo e soprattutto del primo ministro uscente è l’avanzamento verso la parità di genere nel Paese. Il famoso programma «Womenomics», grazie al quale si pensava che si potessero introdurre più di 2 milioni di donne nel mercato del lavoro, precluso ai tempi ad un’ampia fetta del sesso femminile, si è rivelato un successo quasi esclusivamente da un punto di vista numerico: il 77% delle donne in Giappone oggi lavora, ma ciò non ha comportato un’uguaglianza di genere nel Paese. Le donne, infatti, sono relegate spesso a lavori part-time e con una retribuzione che, confrontata con quella maschile, dimostra le lacune sociali presenti ancora oggi nell’arcipelago. Il World Economic Forum evidenzia come su 152 paesi il Paese del Sol Levante si posizioni al 121 posto in disparità di genere, il peggiore fra i Paesi con un’economia avanzata; un dato che può essere facilmente provato anche nel mondo della politica stessa. Infatti, solo il 10% dei parlamentari sono donne e all’interno dello stesso esecutivo sono presenti 19 uomini ed una sola donna. Lasciamo parlare i numeri.
Una carriera politica piena di gioie e dolori per Abe Shinzo, coronata da molte vittorie in politica estera e da altrettante sconfitte in politica interna. Un uomo politico che ha dato al Giappone continuità e stabilità politica, ma che non ha saputo dare risposta a dei problemi radicati nel profondo della cultura del Paese. Una figura che molti hanno indicato come secondo imperatore: sicuramente ha fatto la storia, non solo nazionale ma anche mondiale, lasciando ai posteri e soprattutto al suo successore una grande responsabilità.
(Foto di globalperspectives.info)